vento che spinge onde,
onde che si riappropriano di quegli spazi
limite tra oceano e terra,
zone franche della naturalezza.
Pochomil, Masachapa, sponda pacifica di questo paese. Raccolgo le idee, il senso di pace che mi pervade aiuta, molto: un tempo senza scrivere, un tempo che è stato un anno quanto ad intensità ed emozioni.
Dalle visite al campo alla Garnacha si è lentamente formato un pensiero che ha trovato forma scritta in un progetto di sviluppo rurale, inviato alla Commissione Europea, speranzosi che venga approvato. Mi piace responsabilizzarmi, e c’è felicità nel coglierlo.
Sono stati tempi in cui ho sperimentato una stanchezza da lavoro differente rispetto a quella alienante della fabbrica, o a quella delle dodici ore di cameriere; una sensazione che ti fa semplicemente desiderare chiudere gli occhi e dormire, dondolandosi in una comoda amaca, veicolo verso sonni pesanti, relativizzanti.
Il lavoro, il tuo lavoro, che sempre si inserisce in un contesto più ampio, non controllabile. La bellezza sta nel sentire che in ogni caso, quando il sonno è ormai arrivato, o quando l’alba ed il calore che qui l’accompagnano ti svegliano, il benessere ti pervade. Sentimento che cresce ogni giorno sentendo come quello che tu folletto fai, è per te stesso fonte d’energia pulita, ragione d’equilibrio. E certo, il valore aggiunto di lavorare tra persone giovani simpatiche e motivate, di bersi un caffè scaldati dal sole, in un clima favorevole, tra gente che in qualsiasi situazione sorride e scherza ha la sua rilevanza.
Le vacanze di Natale corrispondono all’arrivo di Chiara dalla Bolivia. La aspetto chiacchierando con Lisy che mi domanda se sono nervoso, e io che rispondo, no..felice! Semplice ma efficace scambio. Arrivo all’aeroporto conducendo per la città che inizio ormai a conoscere non solo nelle sue arterie principale; aspettandola assisto felice all’arrivo di un volo da Miami, dove moltissimi nica sono emigrati in cerca di fortuna. Coloro che arrivano ostentano consapevoli la moda nordamericana: ragazzo con pantaloni larghi, cappellino ed enormi scarpe da ginnastica, ragazza con supercellulare, donna con capelli tinti di biondo, uomo con orologio d’oro e pancia opulenta. La famiglia nica giunge in massa all’aeroporto: le ragazze e le donne indossano il vestito più bello, gli uomini con la macchina luccicante che indirizzano il numeroso gruppo attraverso l’aeroporto. Rito dell’abbraccio, che dura una decina di minuti visto il numero di persone. Mi pare che questa dinamica da noi sia ormai storia, un pò perché le famiglie hanno al massimo due figli e non sei, un pò perché l’unità della famiglia allargata è ormai lontana e quindi un cugino mai penserebbe di andare all’aeroporto a ricevere il parente. Mai. C’era pure una vecchina inferma, che per questo non ha rinunciato a venire fino a qui per dargli il benvenuto, nera dai capelli bianchissimi.
Accolgo Chiara tra carezze pali santi e conchiglie. Le faccio conoscere alcune zone interessanti della capitale, a partire dalla mia colonia, la Centroamerica, caratterizzata da colori e quiete, fritanga, baruci e pulperie, i sorrisi e gli occhi dolci di chi le gestisce, l’ArtCafè dove la musica e le parole non mancano mai. Il mercato Huembes, famoso per l’artigianato ed i vestiti tipici dove troverò il suo regalo di natale; mercato che t’avvolge, un po’ per le frasi tipo “que quiere mi amor”, “corazon que le damo”, che le donne dall’immancabile grembiule pizzato ti regalano, un pò per la massa di gente, commercio e sapori che ne sono l’essenza.
Una bellissima cena a casa di Leo, dove quasi tutti i fratelli e le sorelle sono presenti, dove tutti cucinano qualcosa e l’atmosfera è rilassata e divertente, Convinco tutti ad andare a ballare in un locale, descritto come pericoloso solo perché s’azzuffano (come se non succedesse in ogni luogo), dove la musica della costa atlantica spadroneggia, dove ballando si suda, dove ci si stringe ed il ballo diventa metafora, strumento.
zone franche della naturalezza.
Pochomil, Masachapa, sponda pacifica di questo paese. Raccolgo le idee, il senso di pace che mi pervade aiuta, molto: un tempo senza scrivere, un tempo che è stato un anno quanto ad intensità ed emozioni.
Dalle visite al campo alla Garnacha si è lentamente formato un pensiero che ha trovato forma scritta in un progetto di sviluppo rurale, inviato alla Commissione Europea, speranzosi che venga approvato. Mi piace responsabilizzarmi, e c’è felicità nel coglierlo.
Sono stati tempi in cui ho sperimentato una stanchezza da lavoro differente rispetto a quella alienante della fabbrica, o a quella delle dodici ore di cameriere; una sensazione che ti fa semplicemente desiderare chiudere gli occhi e dormire, dondolandosi in una comoda amaca, veicolo verso sonni pesanti, relativizzanti.
Il lavoro, il tuo lavoro, che sempre si inserisce in un contesto più ampio, non controllabile. La bellezza sta nel sentire che in ogni caso, quando il sonno è ormai arrivato, o quando l’alba ed il calore che qui l’accompagnano ti svegliano, il benessere ti pervade. Sentimento che cresce ogni giorno sentendo come quello che tu folletto fai, è per te stesso fonte d’energia pulita, ragione d’equilibrio. E certo, il valore aggiunto di lavorare tra persone giovani simpatiche e motivate, di bersi un caffè scaldati dal sole, in un clima favorevole, tra gente che in qualsiasi situazione sorride e scherza ha la sua rilevanza.
Le vacanze di Natale corrispondono all’arrivo di Chiara dalla Bolivia. La aspetto chiacchierando con Lisy che mi domanda se sono nervoso, e io che rispondo, no..felice! Semplice ma efficace scambio. Arrivo all’aeroporto conducendo per la città che inizio ormai a conoscere non solo nelle sue arterie principale; aspettandola assisto felice all’arrivo di un volo da Miami, dove moltissimi nica sono emigrati in cerca di fortuna. Coloro che arrivano ostentano consapevoli la moda nordamericana: ragazzo con pantaloni larghi, cappellino ed enormi scarpe da ginnastica, ragazza con supercellulare, donna con capelli tinti di biondo, uomo con orologio d’oro e pancia opulenta. La famiglia nica giunge in massa all’aeroporto: le ragazze e le donne indossano il vestito più bello, gli uomini con la macchina luccicante che indirizzano il numeroso gruppo attraverso l’aeroporto. Rito dell’abbraccio, che dura una decina di minuti visto il numero di persone. Mi pare che questa dinamica da noi sia ormai storia, un pò perché le famiglie hanno al massimo due figli e non sei, un pò perché l’unità della famiglia allargata è ormai lontana e quindi un cugino mai penserebbe di andare all’aeroporto a ricevere il parente. Mai. C’era pure una vecchina inferma, che per questo non ha rinunciato a venire fino a qui per dargli il benvenuto, nera dai capelli bianchissimi.
Accolgo Chiara tra carezze pali santi e conchiglie. Le faccio conoscere alcune zone interessanti della capitale, a partire dalla mia colonia, la Centroamerica, caratterizzata da colori e quiete, fritanga, baruci e pulperie, i sorrisi e gli occhi dolci di chi le gestisce, l’ArtCafè dove la musica e le parole non mancano mai. Il mercato Huembes, famoso per l’artigianato ed i vestiti tipici dove troverò il suo regalo di natale; mercato che t’avvolge, un po’ per le frasi tipo “que quiere mi amor”, “corazon que le damo”, che le donne dall’immancabile grembiule pizzato ti regalano, un pò per la massa di gente, commercio e sapori che ne sono l’essenza.
Una bellissima cena a casa di Leo, dove quasi tutti i fratelli e le sorelle sono presenti, dove tutti cucinano qualcosa e l’atmosfera è rilassata e divertente, Convinco tutti ad andare a ballare in un locale, descritto come pericoloso solo perché s’azzuffano (come se non succedesse in ogni luogo), dove la musica della costa atlantica spadroneggia, dove ballando si suda, dove ci si stringe ed il ballo diventa metafora, strumento.
Il giorno successivo iniziano le attività di sostegno ai bambini di strada; una lettera inviata per mail dove invitavo a partecipare con una donazione a delle attività con i bambini di strada ha sortito dei buoni esiti. Sono stati raccolti fondi sufficienti per tre attività: due con i bambini ed una con dei malati cronici. Presto al mattino, abbiamo raggiunto Bello Horizonte, che, al di là del nome, è un’area disagiata a nord di Managua, in un barrio vicino a dove abitano i bimbi, ma non nel loro, giudicato troppo pericoloso per organizzarci un’attività: abbiamo intrattenuto un centinaio di bambini con marionette, giocoleria, clowneria, animali fatti coi palloncini e la pignatta (molti di loro sono già inseriti nel mercato informale del lavoro) e le loro giovani madri, per la grande maggioranza ragazzine. Questa attività si inseriva in un coordinamento più ampio che, in altre zone della città, interessava un totale di 800 bambini. Parte dell’organizzazione era della chiesa evangelica, per questo non sono mancate le prediche sull’importanza dell’evangelizzazione nel mondo ed un inquietante marcietta fatta danzare ai bimbi con parole sull’essere soldati di Cristo. Lascio i commenti a voi. Il giorno successivo, verso l’ora di pranzo, iniziamo ad impaccare i 200 pasti cucinati dalla mamma di due care amiche che, facendoci un prezzo di favore, ha reso possibile comprare molte più cene del previsto. I tempi potevano essere calcolati meglio, ma l’inaspettata lunga attesa dell’ultima tranche di pasti ci ha fatto partire quasi alle sei di sera, già un pò tardi, perché i bimbi una volta sceso il sole se ne vanno dai semafori e diventa difficile trovarli. Comunque, viaggiando attraverso zone di differente difficoltà e pericolosità della città, tra semafori, distributori e mercati, abbiamo distribuito le cene. Il più delle volte chiacchierando con i bimbi prima, altre volte no, vista la quantità di ragazzini e i volti imploranti segnati dalla fame e dalla droga, che solo chiedevano il riso alla valenciana al più presto. E tra “huele pega” (sniffare colla) e mangiare, molto meglio che mangiassero anche senza parlarci più di tanto.
Immagini: le mamme soprappeso con quattro cinque bimbi attorno che correvano dal semaforo alla macchina, i sorrisi dei bambini, gli abbracci ed i giochini improvvisati, i sinceri ringraziamenti. Occhi troppo giovani per aver visto e vivere quotidianamente quella vita.
L’ultima attività interessava numerose persone originarie del Nord del paese che da Luglio protestano di fronte al Parlamento in quanto affette da insufficienza renale cronica dovuta alle esalazioni chimiche emesse nell’azienda dove hanno lavorato tutta la vita. Tale azienda chimica, di proprietà della famiglia Pellas, che controlla buona parte delle ricchezze di questo paese (ron, birre, svariate aziende e banche), si rifiuta di riconoscere l’indennità a queste persone. Per questo, da mesi, portano avanti la loro condivisibilissima protesta, seppur in condizioni difficili, vivendo accampati alla meglio in tende di legno rivestite con sacchi della spazzatura. Il pomeriggio, terminato il pranzo con i bimbi, sono andato con Luis, mezzo spagnolo mezzo salvadoregno, storico membro del movimento sociale, a comprare viveri (quintali di riso, fagioli e caffè) e assorbenti per le donne (bene di lusso), nonché dei dolcetti per la cena della sera successiva. La cena, nacatamales (massa di mais con carne all’interno, venduta in una foglia di banano) è stata cucinata dalla zia di un’amica. La serata del 24 sono state organizzate rappresentazioni di teatro e danze tradizionali, musica e ballo, tutto grazie a compagnie che gratuitamente si sono messe a disposizione. Siamo giunti ad attività già iniziate, accolti da Luis che diceva “ecco gli amici della solidarietà italiana”. Si è ballato, grazie ad un impianto stereo e delle casse che riempivano gli ampi spazi, si è fatta giocoleria. Ho passato un sacco di tempo con i bimbi a giocare con le palline, ogni tanto rapendo qualche bimba e ballandoci sfrenatamente insieme tenendola in braccio. Che sorrisi!
Il natale è stato accolto con citazioni dei rivoluzionari di ieri e di oggi, di scrittori come Galeano. La reazione della gente a queste parole è stata forte, commossa ma cosciente della lotta necessaria. Pugni che si stringevano non a espressione di un’ideologia, ma di ciò che quotidianamente devono affrontare. Stringere il pugno per lavorare, stringere il pugno per vivere. Sono seguite le parole d’un prete gesuita, in centroamerica da trent’anni, che ha ben ricordato come il natale sia lontano dai banchetti, lontano dai centri commerciali e dai fasti, lontano da quella babilonia che anche qui a Managua è già radicata; che ha ricordato come il bambin Gesù nasca ai semafori, tra questa gente dimenticata ed osteggiata, che lotta per i propri diritti.
Non nego che la pelle d’oca mi ha vinto. Stringersi in un abbraccio è stato tanto naturale quanto vero, sentito.
Buon Natale, tutti a casa..chi ce l'ha!
1 commento:
indescrivibili le emozioni che riesci a comunicare, impensabili quelle che tu puoi provare!
un sorriso
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