La città mi avvolge, caotica. Sono ricapultato nella dimensione urbana, lontano da cavalli, dal verde e dagli spazi, dai sorrisi. Quello che rimane è la celebrazione per l’indipendenza. Managua è addobbata con i colori del FSLN (frente sandinista liberacion nacional). Il tutto aspettando il 19, giorno in cui si raccolgono nella piazza principale moltitudini di ciudadanos y campesinos da tutto il Nicaragua per santificare il ritorno alla democrazia di questo paese. La vigilia sono uscito con Alex, l’autista di ACRA, nica piccolo e rotondo, timido e impacciato, lontano mille miglia dal machismo qui tanto comune. Mi ha portato a casa sua, il desiderio di “entrare” nelle case nica, si è così finalmente realizzato. Vive in una zona non particolarmente povera, e nemmeno eccessivamente pericolosa. Lui e la ragazza si arrangiano grazie al suo stipendio d’autista e vendendo varie cose, dalle scarpe alle sedie di plastica. Dice che non si sposano perché costa troppo. Parole simili a quelle dei giovani di casa nostra. Mi ha presentato un amico, studente di grafica. Vive in un barrio risultato delle politiche sulla casa portate avanti dai sandinisti. Si balla zuppi di pioggia sulle note del reggaeton sprigionate da un camion soundsystem! Il quartiere si chiama San Antonio, lui si chiama Karlo, da Marx. Questo ragazzo ha dei lineamenti unici, un incrocio tra un narcotrafficante ed un terrorista. E infatti mi racconta come spesso, quando esce, la polizia lo fermi, fatto che puntualmente si verifica quando, di fronte all’ennesimo controllo, dei cinque in macchina, finiscano per chiedere i documenti solo a lui. La cosa interessante è che mi ha spiegato buona parte della mitologia nica, soffermandosi in particolare sul ruolo del serpente, onnipresente. Incontro tante persone, nica e straniere, tra cui alcuni giovani con cui ho iniziato ad uscire. Il tutto circondati da sonorità tipiche, in un piazzale gremito per il concerto di uno dei cantautori che raccontano questo paese, la rivoluzione, la guerra e la povertà, l’amore e la crudeltà.Il giorno dell’indipendenza Managua è un circo. Le persone più disparate affollano le strade, le macchine cercano di infilarsi nei pochi spazi lasciati da una folla di anime attirata dalla celebrazione. Una volta raggiunta la piazza, ci sono spettacoli culturali, musica e comizi. Una volta immersi nella piazza si vivono in poche ore i vari gironi dell’inferno dantesco. Succede di tutto, cose belle e brutte, amicizia e danno. LatinoAmerica! Il candidato presidente questa volta arriva a cavallo, evviva il populismo.Riempio la giornata attraversando le persone.Tamburi per strada, scoppiettio di petardi, si festeggia la rivoluzione, oggi Managua è musica, è cuori che battono, che sbattono la porta ad un passato doloroso.Un po’ di finlandesi, MariaRosa la nicagnola (mezza nica e mezza spagnola) che fuma i porri e guida un maggiolone bianco, Alam, Roberto ed Emilio, attivisti e artisti. Lisy, ragazzina belga qui per un anno di volontariato che lavora per strada con i bimbi, che ama il reggae e con cui presto spero di poter vivere danze pregate, preghiere danzate.Questa settimana c’è stato il festival del cinema cubano. Una tre giorni di pellicole proiettate alla cinemateca nazionale, un cinema dalle poltrone in velluto rosso e i sedili di legno, con i ventilatori, i lampadari, un odore, che odore. Di ciò che ho visto quello che mi ha più entusiasmato è stato un documentario su Silvio Rodriguez, cantautore cubano della rivoluzione. Nel cinema tutti cantavano, soave, rispettosamente partecipi.Bello. Tante energie, tanta elettricità.Con Elena, filosofa femminista di Bolzano, ho iniziato a conoscere i luoghi di ritrovo della città. Ce n’è uno chiamato ArtCafè che ricorda molto un circolo Arci di periferia, semplice ma colmo di calore. Quasi ogni giorno c’è qualcosa, giovedì c’era una rassegna di poesia. La differenza rispetto a babilonia è che, affacciandosi fuori dal locale ci sono i bimbi che chiedono un cordoba e che in quelle strade ci vivono e dormono. Lì accanto c’è un teatro. Venerdì ho assistito ad una informalissima esibizione, musica cantautorale e Juan Cho, un figlio del comunismo. Mandato dalla Cina durante la rivoluzione sandinista per una collaborazione tra i due paesi, ci è rimasto. E’ alto un metro e mezzo, scrive poesie, commedie, sembra costantemente ubriaco, ma è semplicemente così. Alam mi ha detto: “Nico el chavallo no va bolo, si no medio loco, es asì” una macchietta, jenial! Sono riuscito a ballare le mie prime canzoni reggae! Nei locali qui è raro che lo passino. Quello che succede è che, quando succede, la pista si svuota e pochissimi eroi si cimentano. Ovviamente si fa amicizia; ne è uscito che ho conosciuto Fito, un ragazzo che lavora ad una radio e vive vendendo le magliette che fa. Quando ha un soldo va a farsi dei viaggi pazzi in giro per il paese. Forse ho trovato un compagno per la mia settimana di ferie. Stiamo pensando di proporre una serata reggae all’ArtCafè. Dal lato politico qui è strano, non si parla molto di ciò che sta succedendo nell’Oriente Medio. Il coordinatore di Movimondo ieri mi raccontava che era in skype con il loro espatriato lì mentre sentiva le bombe cadergli intorno. Come restare indifferenti di fronte a ciò? Con dei professori e alcune associazioni abbiamo organizzato un comitato pro-Libano, con l’obiettivo di far conoscere la peculiarità culturale del paese e organizzare una marcia verso l’ambasciata israeliana. Non ci sono molte persone attive, ma quelle che ci sono valgono per tanti: molti sono rivoluzionari, altri sinistroidi stranieri venuti qui negli anni ottanta. Fra l’altro, ho scoperto che il coordinatore della mia ong, un italiano qui proprio dal 1979 (anno della rivoluzione), non ha vissuto il tutto defilato in ufficio. Era con i sandinisti vestito da militare a combattere e a costruire strade. C’è questa foto in cui ha barba lunga, occhiali scuri, circondato da soldati. AH! E chi l’avrebbe detto.Sono stato a casa di Elena e ho deciso che cercherò casa da quelle parti quando tornerò in novembre. La zona è un barrio tranquillo, pieno di giovani, tutto è vicino, si può passeggiare. La loro casa è meravigliosa. Si sono trasferiti da poco, Emilio l’artista ha ancora tutti i suoi colori, semi e pietruzze sparse per l’ingresso. In ogni casa, a parte le stanze c’è sempre una sorta di ingresso dove c’è un materasso. In ogni casa. Questo perché c’è sempre qualche ospite. In ogni casa c’è del verde. In ogni casa c’è l’amaca, la musica, un topo ed il ron. Risate sguaiate, sudore.
mercoledì 19 luglio 2006
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento