lunedì 26 marzo 2007

Conoscere La Paz e il Lago Titicaca


La scelta di viaggiare in Bolivia è stata una piacevole contingenza, come sempre attimi e situazioni, volenti o nolenti, ci fanno intraprendere delle strade, in questo caso un viaggio, per le vie di un paese che ne contiene mille.

Partito da Managua, attraverso Salvador e Lima, giungo finalmente a notte inoltrata a La Paz. Prima di arrivare però, rimango impietrito di fronte alle dimensioni di Lima. Vista dall’alto non ha inizio e non ha fine, è marrone come il fango, base delle case nelle suburbie. Lima ha nove milioni d’abitanti, la differenza, in questi paesi, è che tutto è a un piano per il pericolo terremoti, risultando quindi le città molto piu estese delle capitali nordamericane, europee o asiatiche.

L’arrivo a La Paz è forte, segnato dal desiderio e dai timori legati al re-incontro. Si atterra a El Alto, città formatasi nel tempo intorno alla conca dove si sviluppa La Paz; case abbarbicate sulle montagne che hanno via via dato vita ad un vero e proprio mondo, con un milione di abitanti: una metropoli indigena. La discesa da El Alto a La Paz è spettacolare, la notte regala una capitale piena di luce, prima differenza con una Managua sempre martoriata dagli “apagones”, tagli di corrente dovuti a deficit energetici. Tra tornanti che lentamente mi portano nelle viscere della città noto anche le case, tutte di mattoni, mentre in Nicaragua è normale vedere case di lamiera o legno, tutte piuttosto oneste queste abitazioni boliviane. Mi sistemo da Chiara in un decisamente lussuoso appartamento nella zona internazionale, cucina moderna, tavoli di vetro, divani, bagni ben rifiniti, moquette e un futbolin! Un calcio balilla che sarà utilizzato da mani di nuovo adolescenti, per piacevoli tornei e sfide divertenti. Inizio a conoscere alcuni amici di Chiara; Fernando, un antropologo che a canoni occidentali risulterebbe pazzo, con gli occhi fuori dalle orbite e lo sguardo penetrante, con una guancia sempre stracolma di foglie di coca, che qui si usano come chewing-gum, ma che sono molto piu sane ed energetiche del sopraddetto. E poi Pedro, altro antropologo, molto preparato, molto dentro il movimento sociale, con cui ho il piacere di dilungarmi in chiacchiere e conoscenza reciproca, e poi una massa di Italiani, tra cui Fede e Alessandro, più che simpatici compagni di casa. Ho conosciuto la casetta di una scalatrice che fa riempire le pareti con il calco delle mani di tutte le persone che la visitano, e che racconta delle sue perplessità legate all’inesperienza del compagno (!?!). La stessa ragazza c’ha poi portato a casa d’un amico avvocato a vedere un bel film boliviano “El dia que paso el silencio”. Questo avvocato, divertente e simpatico, vive in una casa di iper lusso con il televisore più grande che abbia mai visto, e un’infinità di pezzi arredamento kitch, surreale. Il tutto seguito da una cena in ristorante arabo con musica e manifesti indiani, e chiusa in un locale tradizionale dove, prima di bere, si esegue un rito alla Pacha Mama –Madre Terra-, per ringraziarla dell’alcool.

Ho avuto il piacere di visitare il mercato di El Alto, infinito pure questo: tra articoli usati, scarpette e gonne da cholita, ferraglia inutilizzabile, palloni e scarpe da calcio, lo sport nazionale, gustosi succhi e l’orizzonte. Si perché l’altezza media di un boliviano mi fa sentire per la prima, e credo ultima volta in questa vita mia, un Watusso. Sono realmente più alto del novanta per cento dei boliviani, ed è una sensazione strana, quella di vedere i volti da sopra. Di vedere la forma dei nasi dall’alto più che il profilo delle labbra, la forfora nei capelli più che il disegno in una maglietta. Ciò che invece continuo a guardare dal basso sono i cactus. Al Sud della capitale ci sono queste infinite distese di San Pedro, così sono stato a passeggiare e a raccoglierne un pò, per poi, una volta cucinato, preparare un fresco per il torrido viaggio al lago Titicaca, davvero allucinante! Prima di lasciare La Paz però ho passato una serata bellissima, in un bar clandestino gestito da un gay superstiloso, poi al Garage ballando salsa e reggaeton, chiacchierando con alcun’altri antropologi al Carcajadas, locale femminista, e conoscendone uno che si chiama Ruben Dario, come il poeta nazionale nicaraguense, per concludere la serata con un pensiero a Sandino e alla sua terra, tra un sorso di Singani, alcolico nazionale, ed una poesia.

Il Titicaca è il lago più grande dell’America Latina, diviso tra Bolivia e Perù. Per raggiungerlo si passa per Copacabana (si ce n’è una qui oltre che in Brasile), città ogni anno che passa sempre più pensata in funzione del turista. Chiara si mangia una trota, io il classico piatto del vegetariano in Bolivia: patate, riso, uovo e insalata e via, nel battello che ci porta all’isola del Sole, così chiamata perché secondo la tradizione Aymara in quell’isola è nato il sole, al lato sud della stessa. Questo ci permette di attraversarla tutta, per ritornare al Nord. Nel cammino incontriamo una cholita che chiacchiera con noi mentre velocissima sale e scende le ripide roccie, e ci fa accompagnare dal fratellino in barca, risparmiandoci un bel pezzo del tragitto. Alloggiamo in una stanzetta, parte di una casetta al limite del fiabesco. Il lago è talmente vasto e l’isola talmente grande che sembra d’essere in un mondo in sé, circondati da un infinito oceano. Verso sera tornano le barche dei pescatori e questo fortifica questa sensazione, i ragazzi giocano a palla, i vecchi li guardano commentando, come in un oratorio di provincia di una qualsiasi città del mondo. La spiaggia è bellissima, i colori fantastici, i bimbi s arrampicano tra le colonne.
E’ il giorno del San Pedro, è il giorno di sfilate di colori, di animali nitidi, di roccie rosa, di argentini che cercano leoni, di stanchezza, di risate incontrollabili, di espulsione di malesseri, di luoghi sacri che sprigionano energie pazzesche, di svenimenti, di giaguari, di pensieri che non superano l’isola, di labirinti, di stelle filanti nel bagno, di mele salvifiche, di dimenticanze di luoghi corporali, di unioni forti, di acqua agognata, di donne orribili con asini bellissimi, di panorami intensi, di stanze agognate e inaspettatamente raggiunte, sono ore di veramente spledide distorsioni.
Il giorno dopo si riparte, mate tranquillo, viaggio in cui Chiara quasi perde il barco, ritorno a La Paz.

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