lunedì 8 gennaio 2007

Luna di giorno


San Stefano segna la partenza per la costa atlantica di Nicaragua, non prima d’aver passato la mattinata scoprendo il mercato di Masaya, uno tra i più famosi del paese, che a parte la grande area dedicata all’artigianato, ne ha una enorme riempita da venditori di qualsiasi tipo di cibaria. Non avevo mai visto tante qualità di riso e fagioli, quante verdure e quanta carne. Il miscuglio di questi odori a tratti è idilliaco, in alcuni momenti (nelle vicinanze della carne soprattutto) pestilenziale.
Il pomeriggio andiamo da Eduardo, cileno, che con altri amici cileni e nicaraguensi, viaggerà con noi per una settimana.
Raggiungere la costa atlantica, non è immediato tanto da indurre i più ad una comoda avioneta che in un’ora ti porta a Bluefields, capitale della regione autonoma dell’Atlantico del Sud, dove la maggioranza della popolazione è d’origine africana, si parla un creolo mischiato all’inglese ed il ballo è essenza delle persone e del circostante.
C’è un altro modo per raggiungere la costa: certamente più dinamico, interessante, fonte di incontri e parole. Partiamo a tarda sera con un bus borghese che da Managua ci porta verso l’Est, fino a Rama, dove le strade di questo paese finiscono e la natura ha il sopravvento. Ci si inizia a muovere in barche di diverse dimensioni, velocità e livelli di sicurezza e comodità, non prima d’aver aspettato qualche ora al freddo impalati davanti ad una tv insieme al pueblo guardando una trasmissione sullo stile “carramba che sorpresa”. Si inizia con una lancha che è una barchetta di legno a cui aggiungono un motore potente che instabile e rapida taglia il fiume Rama per raggiungere Bluefields. Non posso che passare le due ore di viaggio recitando un “Hare Rama Hare Rama” e osservando la bellezza della natura in sé, il fiume è circondato da verde a perdita d’occhio. L’uomo è arrivato con delle capanne, una ogni po’ di chilometri, che però non intaccano il tutto, sembrano immagini di un altro tempo, davvero. In ognuna c’è una famiglia con tanti bimbi che giocano felici, disegni sovrapposti alla totalità del verde che sta alle loro spalle..
Avevo sentito parlare un sacco di Bluefields, e non so su che basi me l’ero immaginata come una città grande e pericolosa (questo per diversi racconti che m’avevano eccessivamente influenzato). Sicuramente è un altro paese dentro questo paese: non solo la lingua e il colore della gente, ma la cultura stessa, le tradizioni ad essa legata.
La città è piccina, calma, lenta. La differenza evidente che mi riempie di gioia è la musica reggae che esce da ogni abitazione, l’accoglienza sorridente di una “big mama” venditrice di strada ed una atmosfera che mi abituerò a respirare nei dieci giorni successivi.
Le condizioni del mare non ci permettono di raggiungere la nostra meta iniziale: Corn Island, un isolotto perso sull’atlantico che si raggiunge via mare, ma questo ci darà l’opportunità di passare due bellissime giornate nella capitale. Passeggiando conosciamo una ragazza che ci invita tutti e otto a casa sua e cosi passiamo qualche ora piena di buon umore e poi, con la cugina, prendiamo una lancha verso un’isoletta li vicino, accompagnati dal canto di un pescatore rasta rivolto al mare che diceva “si se puede, si se puede”, in senso di rispettoso confronto con lo stesso. El Bluff, piena di musica, bimbi e una spiaggia raggiungibile solo passeggiando per una decina di minuti attraverso non invitanti scogli, piena di marinai che aspettano il tempo di salpare giocando a carte in barca, di ragazzini lavoratori. La ragazza ci farà conoscere un paio di luoghi del ballo, dove si va avanti fino allo sfinimento con reggae, soca, palo de mayo, reggaeton e un po’ di salsa e merengue. Siamo stati pure alla Laguna de Perlas, posto bellissimo con una forte divisione tra la componente creola ricca e la parte indigena Mizquita povera, con un ragazzo che ci spiegava come gli aiuti del governo vanno tutti alla parte creola e questo non permetta all’indigena di acquisire fondi da utilizzare per costruire case ed educare i ragazzi secondo le loro tradizioni. Qui tutti prendono la canoa, fanno cinquanta metri, gettano la rete e poco dopo tornano con il pesce, lo cucinano e lo mangiano: la catena alimentare si sviluppa come un tempo. Si caccia e si mangia, ma non gli uccelli perché, dice, li aiutano a tenere pulita la spiaggia. Gente semplice, con tanta storia, senso d’appartenenza ed identità, che si confronta con poco rispetto e considerazione da parte dei vari governi.
Il giorno successivo la ragazza ci ospiterà da lei, in otto, facendo in modo che ci stessimo tutti, spostando il poco mobilio della modesta casa della madre, “perché non aveva senso che spendessimo dei soldi in un ostello quando ci sono le persone che ci possono ospitare”. Questa ragazza, che non ci conosceva, ci ha ospitato, perché tutto ciò è naturale; questo è il mondo che sono abituato a vivere. L’idea della convivialità, della condivisione di momenti e spazi, di fiducia a priori verso l’altro, il concetto di comunità che faccio tanta fatica a trovare in altri luoghi. Il tutto condito da un sorriso ed un buon umore costante, da musica ron e vomito, che ha portato due di noi all’ospedale –intossicazione alimentare- ma che non ha intaccato il buon umore. Insomma le due giornate a Bluefields sono state un perfetto antipasto alla settimana passata tra le due isole di Corn Island, la grande e la piccola. La prima, raggiunta attraverso il “barco de la muerte,” così abbiamo soprannominato un ex peschereccio che fa la spola tra quest’isola e la costa. Il fatto è che qui parliamo di Oceano Atlantico, e le maiuscole sono dovute: onde alte metri che “El Rio Escondido”, nome della barca, affrontava con coraggio ma con tanta fatica. Il viaggio d’andata, anche a causa dei residui da intossicazione, è stato così condito da mal di mare e vomito in quantità, ma già al ritorno lo scenario è stato diverso. Ho passato le cinque, sei ore del viaggio osservando l’Oceano. Al largo l’acqua è talmente limpida e pulita, è verde! Sapete quel colore “verde mare”, quella matita che si usa poco, di cui ogni tanto ci si chiede ma che rappresenta.. ecco il verde mare è il colore dell’oceano al largo. Talmente pulito e talmente maestoso, talmente affascinante che la tentazione di buttarcisi dentro è stata ben forte.
Le giornate nelle due isole sono state rilassanti, iniziavano presto e terminavano al calar del sole, simili e così diverse. La Grande possiede già strade e servizi. La Piccola non posso dire sia ancora selvaggia, ma veramente poco ci manca. Se è vero che negli ultimi dieci anni diversi ostelli hanno aperto questi sono su un lato dell’isola; nell’altro ci sono solo alcune cabanas - tende di bambù - e niente più, non c’è luce, né acqua. Si raggiunge attraverso un sentiero, prima attraverso il villaggio dove l’odore di pan di cannella e cocco accompagna il passeggiare, e poi perso tra foreste di palme e banani, fino a che l’oceano si apre immenso davanti ai tuoi occhi. Abbiamo accampato qualche giorno, cibandoci di quel buonissimo pane di qui sopra e di qualche cocco che ho aperto con grande fatica, avendo genialmente dimenticato il coltellino a Managua, e altrettanta soddisfazione. Il latte di cocco, il latte di cocco!! Buono, sano, bello. La noche vieja, per quanto il concetto di tempo in un’isola non riempie di significato questa serata, è stata originale. Passeggiavamo in questa spiaggia da cartolina, con le palme che davano sulla sabbia bianca e poi l’oceano pieno di coralli, pensando che già così sarebbe stato geniale quando un locale alto grosso e bruttissimo ci invita ad un tavolo insieme ad alcune altre persone. Ci spiega come loro stiano già festeggiando da mezzogiorno e continueranno fino all’indomani. Che gioia penso, essere chiamato dalla spiaggia per partecipare alla festa di locali. E così è stato; non bastasse, avevano cucinato offrendoci una zuppa buonissima e tanti beveraggi. Avevano pure la musica così che s’è ballato un sacco, s’è chiacchierato con un guerrigliero della rivoluzione che da anni vive di espedienti (ed ogni giorno che passa ne incontro sempre più, da quelli che vivono per strada, a chi fa lo scarparo). Poi sono arrivate le bottiglie di spumante e quindi mezzanotte, ma chiedendone conferma ho ricevuto un bonario..”man it’s just 8pm”, è che il sole nell’isola tramonta verso le cinque, e non vi dico che tramonti. Così le otto di sera sono già percepite come notte fonda. Credo la festa sia terminata prima di mezzanotte, non ne sono sicuro, anzi non ne ho proprio idea, ma che importa. Ad un tratto mentre ballavo in riva all’oceano illuminato a giorno da una luna quasi piena, con Chiara che giocava alle palline vicino a me, mi sono girato e non c’era più nessuno.

Attimi perfetti,
completati da parole importanti dedicate.
Tempo d’andare dunque,
buonanotte,
a presto fratelli.