giovedì 2 agosto 2007

Tra Italia e Messico

Il ritorno in Italia dopo quasi otto mesi “del otro lado del charco”, espressione che i nica usano per indicare l’oceano atlantico, è stato un momento utile per osservare l’avanzare di una nuova generazione superficiale nemmeno per colpa loro, del radicarsi dell’apparenza in tanti contesti, ma anche dell’incontro con persone speciali che occupano il loro quotidiano per risvegliare le coscienze sopite. E’ stato anche naturale capire come le amicizie non coltivate assumano forme diverse, ma comunque ci siano e riempiano il cuore di felicità, anche se si riassumono in un’oretta passata a chiacchierare una volta all’anno.
Il Rototom è un festival musicale reggae che consiglio a tutti, indipendentemente dall’amore più o meno dichiarato per questa musica, strumento religioso per i credenti Rastafari. Si raccolgono genti da tutta Europa per condividere dieci giorni di danze, cibo, corsi, conferenze, rilassamento e ovviamente ballo. C’è proprio una bella atmosfera che m’ha ricaricato le batterie dopo un periodo di lavoro pesantuccio. Vedere i bambini ballare, colorati, le signore africane cucinare quintali di carne muovendo i loro santi fianchi, i giocolieri giocolare, i musicisti suonare, tanti ballare. Come può non riempire di gioia di vivere. Il festival è stata anche l’occasione per passare tempo con Chiara, dopo quasi tre mesi, e di rivedere persone splendide conosciute in Nicaragua, l’angelo Lisy, la gitana Emanuela e il British più simpatico che abbia conosciuto, Oliver. La fortuna di poter vivere in certi paesi ti fa scoprire come ci siano tante persone meravigliose che si mettono a disposizione della gente per cercare di cambiare questo sistema destinato a implodere.
Tornato in Nicaragua, dopo un giorno, sono partito via terra destinazione Chiapas, raggiunto dopo aver attraversato Honduras, Salvador, Guatemala e essere stato accolto da blindati dell’esercito regolare messicano che sempre più stanno accerchiando i municipi autonomi zapatisti. L’incontro è stato itinerante, abbiamo visitato tre dei cinque caracoles zapatista, ascoltando gli avanzamenti della rivoluzione e scambiando percezioni sulla lotta contadina grazie a rappresentanti di Via Campesina arrivati da molti paesi del mondo. Dopo una lotta ventennale gli zapatisti possono contare oggi su numerosi municipi autogestiti, su scuole primarie e secondarie autonome, su propri centri di salute, giunte “del buon governo”, e un esercito che li difende dagli attacchi messicani. C’è da dire che da sette anni ormai l’EZLN non utilizza la lotta violenta, puntando sull’affrontare in forma non violenta e autonoma il governo centrale messicano. Sono stato li con due cileni, Jesus e Carla; sono stati dieci giorni piuttosto utili a capire le differenze tra latinos e europei, tra europei ed europei; ho imparato le danze tipiche zapatiste, quasi tutte cumbie che loro possono ballare per giorni e giorni interrottamente. Ho ascoltato le parole di Marcos e Moises, delle donne zapatiste.
In Chiapas c`è un fuoco che arde forte, questi indigeni proseguono il loro cammino che in questi anni li ha portati sempre più ha coltivare le loro radici e, secondo queste, orgnizzare la loro vita ed il loro sistema di governo, controllato da loro stessi attraverso rappresentanti eletti che in ogni momento possono essere sostituiti se non realizzano gli interessi di tutti.

“El pueblo manda en Chiapas!”