giovedì 23 novembre 2006

Il ritorno

Eccomi qui

aereoplano atterrato
inevitabile stordimento..
anima ancora in viaggio suggerisce Elena,
essenza dell’assenza
assenza dell’essenza dico io

Caldo, si caldo.
Umido, si umido.

Volti mi sorridono all’uscita di quell’asettico ambiente che chiamano aeroporto. Elena, Fra e Lisy sono lì, belle come il sole. Hanno messo a disposizione un pò del loro tempo e della loro energia per venire ad accogliermi. Il delirium transitionis è soave, le parole fluiscono semplici, come se mai me ne fossi andato. Questa è la sensazione. La casa è li, grande e accogliente. Azioni note..la serie di catenacci da aprire e chiudere, le amache da aggirare per raggiungere l’entrata, la polvere, il giallo, i materassi a terra per gli ospiti, il frigo vuoto con la porta che si stacca (novità!), le sedie a dondolo, io che trascino le ciabatte, il giardino con le piante cresciute, i piatti da lavare, le formiche e i geki dappertutto, Lisy, Roberto ed un certo numero di persone che sempre affollano questi spazi nostri. La camera colorata.
Riflessione lucida: questo luogo lo sento come casa, pensiero certamente aiutato da due mesi di divertente vagabondare a casa di persone splendide in una grigia milano scaldata dalla musica e da cuori pulsanti. Vagabondare che, a tratti, ha messo in difficoltà pure la mia essenza nomade, ma che m’ha fatto approfondire conoscenze con persone che sono sicuro accompagneranno il mio andare. Questo luogo che sento come casa perché per la formazione culturale che abbiamo avuto, forse, America Latina è il luogo Altro dove è più semplice sentirsi, a casa.
Prima sera, festa, persone, torno all’ArtCafè dove ho salutato tutti e dove mi riaccolgono. Rivedo volti che mi sorridono, che mi dicono quanto mancavo. Sono stanco, il fuso orario mi vince, durerà qualche giorno. Cado orizzontale sul letto, all’alba già sveglio a passeggiare per il barrio, questa “centroamerica” che tanto mi piace, che alle sette del mattino racconta di donne in gonne colorate e tacones che puliscono la stradina fronte a casa, di venditrici di tortillas dalla voce nasale, di baciata che esce da tante case, di pulperie, di un caldo che fa sudare.
Mi lascio avvolgere dal rumore, dalla lingua, dai sapori forti, aglio e spezie. Caldo, sudo, caldo.
I bus strombazzano, i taxi usano clacson con suonerie per attirare i clienti, caldo, bandiere sandiniste un pò dappertutto.
La domenica mi sveglia la vicina che alle cinque e mezzo del mattino mette a palla baciata e reggaeton. Dopo un primo stordimento, il corpo inizia a muoversi da solo a questo ritmo controverso, che ti fa muovere ma tappare le orecchie. Muovere perché è un ritmo perfetto, tappare le orecchie perché i testi machisti farebbero rivoltare nella tomba qualsiasi femminista.
Lenzuola che ricordano Italia.
Partecipo ad un incontro del Movimento Sociale Nicaraguense in cui, tra le varie tematiche affrontate, si discute pure del nuovo governo. Eccitazione mista ad un realismo della ragione che porta a pensare come poco o nulla cambierà. Il momento a me più caro è stata la conversazione con il rappresentante delle comunità indigena. Anche qui i loro diritti sono molto poco tutelati e quando lo sono, le leggi vengono facilmente aggirate.
Si tratta del rispetto d’un popolo millenario, delle sue tradizioni, culturali e agricole. Cercherò di stare in contatto con queste persone. Emettono un’energia facilmente coglibile.
Le giornate hanno incominciato a volare in corrispondenza della mole di lavoro d’affrontare, la tesi da pensare. Per fortuna i raggi di sole passano attraverso le finestre e regalano luce ed energia in abbondanza, tanti prismi che si riflettono sui muri qui intorno.
E poi gli alberi, i refrescos, la frutta.
Tutto è veloce, tutto è lento in quest’america dimenticata.
Tutto è cuore, tutto è sentimento tra palme e manghi.

L’anima di Sandino riempie cuori indigeni
Gabbiano volo

venerdì 10 novembre 2006

Despedida ed è già Babilonia

Riprendere a scrivere, parole filanti di altri due mesi trascorsi, in prospettiva Nicaragua si, ma dalla controversa Italia, madre e formatrice.
Prima di lasciare la terra di Sandino, dopo il viaggio motivo calendario ho trascorso gli ultimi giorni in una calda Managua, tra conoscenze sempre più approfondite. L’ultima notte ho salutato tutti gli amici all’ArtCafè dove io e Elena abbiamo provato a regalare gioia tramite le vibrazioni reggae, Jah love! Tutto è iniziato per scherzo, chiacchierando con Jader, gestore del locale, su quanto manchi la musica reggae a Managua. Con la semplicità qui tipica in poche settimane casse e computer erano collegate, pronti a riempire le mura ed il circostante di santa musica. E’ andato tutto ogni più rosea previsione, s’è messo musica dalle otto di sera alle quattro di mattina, solo ed esclusivamente roots.. chi l’avrebbe detto? Ho ballato un sacco, ho lasciato che questa musica si impossessasse del mio corpo, mentre rivoli di sudore scendevano rapidi. Le ragazzine sono proprio brave ballerine, pur d’attaccarsi improvvisano reggaeton anche dove testi e musica poco c’entrano. Ho passato un sacco di tempo con Iris, che mi ha pure aiutato a scegliere alcuni pensieri da portare a casa Italia. Mentre attraversavo il Huembe, il più grande mercato di Managua, sono stato avvolto da sonorità di tamburi, mi sono avvicinato per capire che fosse e, meraviglia!, era il suono prodotto dalle donne che sbattevano sul tavolo le tortillas in preparazione. Sembrava d’essere sotto acido, tutto ovattato da questo TUM TUM TUM, ma aprendo gli occhi donne colorate al lavoro, tra canti e chiacchiere.Il mattino successivo, giorno di partenza, giorno di arrivederci, Elena e Lisy m’accompagnano all’aeroporto, dopo qualche ora passata a chiacchierare giunge il mio tempo. Lungo viaggio destinazione Milano, pensieri contrastanti accompagnano le ore di volo, quelle d’attesa. L’attesa si.Rimetto piede in terra italica, delirium transitionis iniziato che gira a velocità folle. Chiara viene a prendermi a Linate, abbronzantissima e piena d’India. Ritrovare una persona importante. Riavvicinarsi. Notti di scambi, parole, intensità, bene, male.Ritorno per il corso di formazione al servizio civile, passaggio indispensabile per ritornare in Nicaragua. Incontro molte persone interessanti alla formazione, quasi tutti sono già stati all’estero a lavorare, dimostrano una adeguata apertura mentale e voglia di fare bene il loro lavoro. Inizio ad itinerare di casa in casa, gentilmente ospitato da persone che neppure conoscevo. Così, dopo una settimana passata da Chiara, zampetterò da Gaia, poi da Vale, da Velca e di nuovo da Vale.
Nuovamente in partenza, Nicaragua!