lunedì 25 dicembre 2006

Semafori e mercati

Disteso orizzontale su una spiaggia infinita,
vento che spinge onde,
onde che si riappropriano di quegli spazi
limite tra oceano e terra,
zone franche della naturalezza.

Pochomil, Masachapa, sponda pacifica di questo paese. Raccolgo le idee, il senso di pace che mi pervade aiuta, molto: un tempo senza scrivere, un tempo che è stato un anno quanto ad intensità ed emozioni.
Dalle visite al campo alla Garnacha si è lentamente formato un pensiero che ha trovato forma scritta in un progetto di sviluppo rurale, inviato alla Commissione Europea, speranzosi che venga approvato. Mi piace responsabilizzarmi, e c’è felicità nel coglierlo.
Sono stati tempi in cui ho sperimentato una stanchezza da lavoro differente rispetto a quella alienante della fabbrica, o a quella delle dodici ore di cameriere; una sensazione che ti fa semplicemente desiderare chiudere gli occhi e dormire, dondolandosi in una comoda amaca, veicolo verso sonni pesanti, relativizzanti.
Il lavoro, il tuo lavoro, che sempre si inserisce in un contesto più ampio, non controllabile. La bellezza sta nel sentire che in ogni caso, quando il sonno è ormai arrivato, o quando l’alba ed il calore che qui l’accompagnano ti svegliano, il benessere ti pervade. Sentimento che cresce ogni giorno sentendo come quello che tu folletto fai, è per te stesso fonte d’energia pulita, ragione d’equilibrio. E certo, il valore aggiunto di lavorare tra persone giovani simpatiche e motivate, di bersi un caffè scaldati dal sole, in un clima favorevole, tra gente che in qualsiasi situazione sorride e scherza ha la sua rilevanza.
Le vacanze di Natale corrispondono all’arrivo di Chiara dalla Bolivia. La aspetto chiacchierando con Lisy che mi domanda se sono nervoso, e io che rispondo, no..felice! Semplice ma efficace scambio. Arrivo all’aeroporto conducendo per la città che inizio ormai a conoscere non solo nelle sue arterie principale; aspettandola assisto felice all’arrivo di un volo da Miami, dove moltissimi nica sono emigrati in cerca di fortuna. Coloro che arrivano ostentano consapevoli la moda nordamericana: ragazzo con pantaloni larghi, cappellino ed enormi scarpe da ginnastica, ragazza con supercellulare, donna con capelli tinti di biondo, uomo con orologio d’oro e pancia opulenta. La famiglia nica giunge in massa all’aeroporto: le ragazze e le donne indossano il vestito più bello, gli uomini con la macchina luccicante che indirizzano il numeroso gruppo attraverso l’aeroporto. Rito dell’abbraccio, che dura una decina di minuti visto il numero di persone. Mi pare che questa dinamica da noi sia ormai storia, un pò perché le famiglie hanno al massimo due figli e non sei, un pò perché l’unità della famiglia allargata è ormai lontana e quindi un cugino mai penserebbe di andare all’aeroporto a ricevere il parente. Mai. C’era pure una vecchina inferma, che per questo non ha rinunciato a venire fino a qui per dargli il benvenuto, nera dai capelli bianchissimi.
Accolgo Chiara tra carezze pali santi e conchiglie. Le faccio conoscere alcune zone interessanti della capitale, a partire dalla mia colonia, la Centroamerica, caratterizzata da colori e quiete, fritanga, baruci e pulperie, i sorrisi e gli occhi dolci di chi le gestisce, l’ArtCafè dove la musica e le parole non mancano mai. Il mercato Huembes, famoso per l’artigianato ed i vestiti tipici dove troverò il suo regalo di natale; mercato che t’avvolge, un po’ per le frasi tipo “que quiere mi amor”, “corazon que le damo”, che le donne dall’immancabile grembiule pizzato ti regalano, un pò per la massa di gente, commercio e sapori che ne sono l’essenza.
Una bellissima cena a casa di Leo, dove quasi tutti i fratelli e le sorelle sono presenti, dove tutti cucinano qualcosa e l’atmosfera è rilassata e divertente, Convinco tutti ad andare a ballare in un locale, descritto come pericoloso solo perché s’azzuffano (come se non succedesse in ogni luogo), dove la musica della costa atlantica spadroneggia, dove ballando si suda, dove ci si stringe ed il ballo diventa metafora, strumento.

Il giorno successivo iniziano le attività di sostegno ai bambini di strada; una lettera inviata per mail dove invitavo a partecipare con una donazione a delle attività con i bambini di strada ha sortito dei buoni esiti. Sono stati raccolti fondi sufficienti per tre attività: due con i bambini ed una con dei malati cronici. Presto al mattino, abbiamo raggiunto Bello Horizonte, che, al di là del nome, è un’area disagiata a nord di Managua, in un barrio vicino a dove abitano i bimbi, ma non nel loro, giudicato troppo pericoloso per organizzarci un’attività: abbiamo intrattenuto un centinaio di bambini con marionette, giocoleria, clowneria, animali fatti coi palloncini e la pignatta (molti di loro sono già inseriti nel mercato informale del lavoro) e le loro giovani madri, per la grande maggioranza ragazzine. Questa attività si inseriva in un coordinamento più ampio che, in altre zone della città, interessava un totale di 800 bambini. Parte dell’organizzazione era della chiesa evangelica, per questo non sono mancate le prediche sull’importanza dell’evangelizzazione nel mondo ed un inquietante marcietta fatta danzare ai bimbi con parole sull’essere soldati di Cristo. Lascio i commenti a voi. Il giorno successivo, verso l’ora di pranzo, iniziamo ad impaccare i 200 pasti cucinati dalla mamma di due care amiche che, facendoci un prezzo di favore, ha reso possibile comprare molte più cene del previsto. I tempi potevano essere calcolati meglio, ma l’inaspettata lunga attesa dell’ultima tranche di pasti ci ha fatto partire quasi alle sei di sera, già un pò tardi, perché i bimbi una volta sceso il sole se ne vanno dai semafori e diventa difficile trovarli. Comunque, viaggiando attraverso zone di differente difficoltà e pericolosità della città, tra semafori, distributori e mercati, abbiamo distribuito le cene. Il più delle volte chiacchierando con i bimbi prima, altre volte no, vista la quantità di ragazzini e i volti imploranti segnati dalla fame e dalla droga, che solo chiedevano il riso alla valenciana al più presto. E tra “huele pega” (sniffare colla) e mangiare, molto meglio che mangiassero anche senza parlarci più di tanto.
Immagini: le mamme soprappeso con quattro cinque bimbi attorno che correvano dal semaforo alla macchina, i sorrisi dei bambini, gli abbracci ed i giochini improvvisati, i sinceri ringraziamenti. Occhi troppo giovani per aver visto e vivere quotidianamente quella vita.
L’ultima attività interessava numerose persone originarie del Nord del paese che da Luglio protestano di fronte al Parlamento in quanto affette da insufficienza renale cronica dovuta alle esalazioni chimiche emesse nell’azienda dove hanno lavorato tutta la vita. Tale azienda chimica, di proprietà della famiglia Pellas, che controlla buona parte delle ricchezze di questo paese (ron, birre, svariate aziende e banche), si rifiuta di riconoscere l’indennità a queste persone. Per questo, da mesi, portano avanti la loro condivisibilissima protesta, seppur in condizioni difficili, vivendo accampati alla meglio in tende di legno rivestite con sacchi della spazzatura. Il pomeriggio, terminato il pranzo con i bimbi, sono andato con Luis, mezzo spagnolo mezzo salvadoregno, storico membro del movimento sociale, a comprare viveri (quintali di riso, fagioli e caffè) e assorbenti per le donne (bene di lusso), nonché dei dolcetti per la cena della sera successiva. La cena, nacatamales (massa di mais con carne all’interno, venduta in una foglia di banano) è stata cucinata dalla zia di un’amica. La serata del 24 sono state organizzate rappresentazioni di teatro e danze tradizionali, musica e ballo, tutto grazie a compagnie che gratuitamente si sono messe a disposizione. Siamo giunti ad attività già iniziate, accolti da Luis che diceva “ecco gli amici della solidarietà italiana”. Si è ballato, grazie ad un impianto stereo e delle casse che riempivano gli ampi spazi, si è fatta giocoleria. Ho passato un sacco di tempo con i bimbi a giocare con le palline, ogni tanto rapendo qualche bimba e ballandoci sfrenatamente insieme tenendola in braccio. Che sorrisi!
Il natale è stato accolto con citazioni dei rivoluzionari di ieri e di oggi, di scrittori come Galeano. La reazione della gente a queste parole è stata forte, commossa ma cosciente della lotta necessaria. Pugni che si stringevano non a espressione di un’ideologia, ma di ciò che quotidianamente devono affrontare. Stringere il pugno per lavorare, stringere il pugno per vivere. Sono seguite le parole d’un prete gesuita, in centroamerica da trent’anni, che ha ben ricordato come il natale sia lontano dai banchetti, lontano dai centri commerciali e dai fasti, lontano da quella babilonia che anche qui a Managua è già radicata; che ha ricordato come il bambin Gesù nasca ai semafori, tra questa gente dimenticata ed osteggiata, che lotta per i propri diritti.
Non nego che la pelle d’oca mi ha vinto. Stringersi in un abbraccio è stato tanto naturale quanto vero, sentito.
Buon Natale, tutti a casa..chi ce l'ha!

domenica 10 dicembre 2006

San Nicolás e la Purissima


Il lunedi sono partito per il campo
destinazione municipalidad de San Nicolás de Oriente,
mai nome fu piu adatto.
Compagno di viaggio Don Eduardo, uomo con otto figli, una pancia enorme legata all’alimentazione tipica, occhi piccoli e sfuggenti, un sorriso dolce e bonario, che da tempo lavora per Acra. Parole di reciproca conoscenza, sulle rispettive famiglie, gli inevitabili commenti sulle ragazze-donne-nonne che incrociano il nostro cammino.
Il machismo é culturale, ogni giorno di piú mi rendo conto che non c’é cattiveria nell’uomo. Semplicemente sono commenti che ha sempre sentito fare e che ha sempre usato. Ogni uomo che ha un’amante per quanto puó la cura, le regala qualcosa, che sia una cena o delle sedie per la casa di legno senza nulla se non l’onnipresente televisore che trasmette novelas colombiane i video di musica anni ottanta. Sono stato a pranzo e a colazione dalla “querida” di Don Eduardo, ragazzotta ben in carne con tre figli. Continuo a non abituarmi a quanto riescono ad ingurgitare. Il riso trasborsa sempre dal piatto, le tortillas, i fagioli, il gallo pinto, e quant altro c’è. Si mangia fino a quando finisce tutto, anche se il livello di saturazione è già superato da tempo. E poi ci si sorprende se fanno due ore di siesta! Ci mancherebbe, la quantità di sangue che si concentra nel processo digerente non permette di fare nulla se non godere della comodità di un’amaca.
Ci sono degli aspetti tristi del machismo, ma le ragazzine che per strada si sentono fare un complimento la maggior parte delle volte sorridono, se non sono loro stesse a fartelo, schiudendo gli occhi nocciola ed il gran sorriso che le accomuna. Il machismo é tante cose, é figlio di uno dei mille mondi che esistono, e che per fortuna ancor’oggi ci caratterizzano. Perció, nonostante l’evoluzione individualista basata sull’equitá nell’uguaglianza che la cultura dominante propone, mi convinco sempre piú dell’importanza dell’uguaglianza nella diversitá: di un concetto che gli indú chiamano complementarietá, che altri chiamano di distinzione-reciprocitá. La relazione nelle diverse culture é in quanto tale; la volontá di svilupparla nella stessa maniera nei luoghi e nelle culture piú disparate mi sembra limitante (e ora le femministe possono ufficialmente organizzarmi un attentato).
Come sempre pochi chilometri fuori dalla polverosa e rumorosa capitale il panorama é completamente diverso. Percorrere la panamericana, la miglior strada di centroamerica che taglia tutti gli stati di questa regione per favorire il commercio tra gli stessi e gringolandia, é fonte di infinita gioia. Panorami di verdi montagne, di coltivazioni floride, di fiori gialli e viola. Un giorno mi convinceró che questa vista sia la normalitá, che vedere grigio e grattacieli non sia la veritá. Per il momento preferisco sentire la mia essenza scalpitare dalla gioia e i miei occhi riempirsi d’emozione nel godermi questi paesaggi.
Ho il compito di scrivere un progetto di sviluppo rurale nelle comunita’ di questo municipio perso nel dipartimento di Estelí, al nord, tra coloro che si fan chiamare norteñi, per la loro parlata canterina, la loro semplicitá, la presenza costante di un cane, un maiale, galline e gatti nella casa. Per il cibo, mangiato con le mani per gustarlo meglio, per le tortilla che non mancano mai. Gli uomini viaggiano sempre con il cappello, gli stivali a punta che spesso lustrano. E nella mia osservazione partecipata mi sono messo jeans e camicetta (certo non sono ancora ai livelli di camicia a quadrettoni da campesino, mi limito alle mie indiane che tanto a mio agio mi fanno sentire), cosí da essere notato un pó meno. Certo la mia carnagione da chele e la mia piña di capelli in testa non aiutano.
Parto con la meravigliosa mitsubishi 4x4 in affido ad ACRA per un progetto. Il volante si muove da solo, ma é solida e rassicurante. Poi il bianco da quel tanto di purezza che é sempre bene accompagni il muoversi, lento o veloce che sia.
La visita si è rivelata utile, ho partecipato a diversi incontri fiume tipicissimi di questa parte del mondo. Si parla per ore chiamandosi compañero e hermano poi si litiga con toni accesi e poi si finisce tutti a cenare tra pacche sulle spalle e desiderio di ron. La zona visitata è freschissima, sensazione ben difficile da provare a Managua. La parte urbana di San Nicolás è caratterizzata da una strada centrale ga un centinaio di metri e qualche trasversale; ricordate Dogville? Le stesse dimensioni ma con un’atmosfera decisamente più allegra. Visito un pretino italiano che è qui da molti anni, vive in una casa semplice dove l arredamento è costituito da un altare e niente più, camminerò con lui tra le comunità la settimana prossima.
Questo fine settimana si celebrava la “purissima”, l’immacolata concezione. Sono stato a Leòn, famosa per l’intensità della “criterissima.” Il paese prepara questa festa nei giorni precedenti. Ogni casa addobba un altare con la Madonna e canta le lodi alla vergine. Le persone invadono le strade e si muovono di casa in casa scandendo, gridando di fatto (e da qui il nome della festa) a loro volta inni a Maria. Tra i più usati: “Quien causa tanta alegria? La virgen Maria!”. Una volta recitati gli inni si attende pazientemente che i padroni di casa regalino un ricordo al fedele. Si va dalla caramellina, alla gelatina, ad artesania varia, fino a vesti, camicie e magliette. I fuochi d’artificio riempiono le strade di questa città, antica capitale di Nicaragua, così tipicamente centroamericana nelle sue architetture. Terminati i festeggiamenti siamo saliti al “fortìn”, una collina sopra la città dove ci sono i resti di un centro di tortura del regime somoziano. La riappropriazione di questi spazi, è parte del processo di rielaborazione che questa gente sta facendo dopo la fine della guerra civile. Le conversazioni si susseguono, l’idea di stare dove qualche decennio fa i compagni sandinisti che lottavano per la liberazione del paese dalla dittatura, venivano uccisi, è qualcosa che da i brividi. Il tutto condito da una vista mozzafiato sulla città, illuminata da fuochi d’artificio artigianali.
Faccio mie sempre più le controversie di questo paese, le dinamiche che lo caratterizzano, i cieli, la terra, i volti ed i sorrisi che lo contraddistiunguono,

Que linda Nicaragua

lunedì 4 dicembre 2006

Frijolero

Tempo dedicato al reinserimento, alla riappropriazione di luoghi, alle parole, agli abbracci, a chiarimenti necessari, a nuovi incontri, a discorsi facili e difficili, comodi e fastidiosi, a parole sulla santeria ascoltate e fatte mie attraverso occhi altrui, alle vittorie dei candidati delle sinistre in Ecuador e Venezuela, al seme della speranza che raggiunge sempre piú persone in questo continente.
Sono stato ad un concerto di rockeros antisistema messicani, i “Molotov”, famosissimi da queste parti. Non dimenticheró facilmente alcune cose: il testo di una canzone
“no me llame frijolero pinche gringo puñetero”, la divisione del pubblico con tanto di rete metallica tra “normali” e “vip”, sfociata inevitabilmente in un lancio reciproco di lattine vuote (alcool sempre comun denominatore), alla faccia della riconciliazione nazionale, la divisione tra liberali e sandinisti é visibile e queste occasioni, di ipotetica unione, ne sono la piú diretta conferma. Ma secondo voi é umano pensare di dividere il pubblico di un concerto, per lo piú di rockeros, con una rete metallica che taglia a metá il parco dove l’evento é ospitato? Siamo all’ennesima costruzione di un muro?
Magari, invece, per qualche ora mi sono trovato in una realtá parallela: al lato del palco, infatti, dj mettevano musica tecno nelle pause del concerto (tecno?!?) e figuri di dubbia identitá tutti abbigliati con delle tute grigie fosforescenti improvvisavano evoluzioni giocose con il fuoco.
Lo scorso fine settimana é stato intenso: c’é stata la riproposizione della serata reggae all’ArtCafé per il saluto ad Elena che passerá un paio di mesi in Italia (che trascorrerà tutti chiusi in una stanza a scrivere progetti alla faccia delle ferie). Belle sensazioni, tanto reggae, musica messa e ballata per Jah e Shiva, per chi a cui il mio pensiero é rivolto. Accompagnata Elena al bus per Guatemala, abbracci sinceri, reciproco volersi bene.
C’é stato sabato, passato in una bella riserva a Sud di Managua, famosa per la sua flora e fauna. Con un bus ed un passaggio si giunge rapidi. La bellezza della flora tropicale é stupefacente: passeggio completamente circondato dal verde, archi composti da fronde intrecciate indirizzano il cammino. Gli alberi sono talmente alti da faticare a vederne il termine, ammesso che ne abbiano! Mi distendo orizzontale, chiudo gli occhi e naturalmente medito, avvolto dal rumore dell’acqua di una cascata che scroscia sulla roccia, da mille uccelli magici, dal vento forte che si avvita tra le roccie.
Un cane indirizzava il nostro cammino, un cavallo si grattava l’orecchio con la zampa posteriore. E domenica, tracorsa tra le onde dell’oceano pacifico, tra spiaggie di sabbia chiara, conchiglie rosa e palme, ma anche immondizia abbandonata sulla spiaggia, tra surfisti nica e venditrici di tortillas, tra uno dei mille tramonti specialissimi che questo paese non si stanca di regalare.