lunedì 25 dicembre 2006

Semafori e mercati

Disteso orizzontale su una spiaggia infinita,
vento che spinge onde,
onde che si riappropriano di quegli spazi
limite tra oceano e terra,
zone franche della naturalezza.

Pochomil, Masachapa, sponda pacifica di questo paese. Raccolgo le idee, il senso di pace che mi pervade aiuta, molto: un tempo senza scrivere, un tempo che è stato un anno quanto ad intensità ed emozioni.
Dalle visite al campo alla Garnacha si è lentamente formato un pensiero che ha trovato forma scritta in un progetto di sviluppo rurale, inviato alla Commissione Europea, speranzosi che venga approvato. Mi piace responsabilizzarmi, e c’è felicità nel coglierlo.
Sono stati tempi in cui ho sperimentato una stanchezza da lavoro differente rispetto a quella alienante della fabbrica, o a quella delle dodici ore di cameriere; una sensazione che ti fa semplicemente desiderare chiudere gli occhi e dormire, dondolandosi in una comoda amaca, veicolo verso sonni pesanti, relativizzanti.
Il lavoro, il tuo lavoro, che sempre si inserisce in un contesto più ampio, non controllabile. La bellezza sta nel sentire che in ogni caso, quando il sonno è ormai arrivato, o quando l’alba ed il calore che qui l’accompagnano ti svegliano, il benessere ti pervade. Sentimento che cresce ogni giorno sentendo come quello che tu folletto fai, è per te stesso fonte d’energia pulita, ragione d’equilibrio. E certo, il valore aggiunto di lavorare tra persone giovani simpatiche e motivate, di bersi un caffè scaldati dal sole, in un clima favorevole, tra gente che in qualsiasi situazione sorride e scherza ha la sua rilevanza.
Le vacanze di Natale corrispondono all’arrivo di Chiara dalla Bolivia. La aspetto chiacchierando con Lisy che mi domanda se sono nervoso, e io che rispondo, no..felice! Semplice ma efficace scambio. Arrivo all’aeroporto conducendo per la città che inizio ormai a conoscere non solo nelle sue arterie principale; aspettandola assisto felice all’arrivo di un volo da Miami, dove moltissimi nica sono emigrati in cerca di fortuna. Coloro che arrivano ostentano consapevoli la moda nordamericana: ragazzo con pantaloni larghi, cappellino ed enormi scarpe da ginnastica, ragazza con supercellulare, donna con capelli tinti di biondo, uomo con orologio d’oro e pancia opulenta. La famiglia nica giunge in massa all’aeroporto: le ragazze e le donne indossano il vestito più bello, gli uomini con la macchina luccicante che indirizzano il numeroso gruppo attraverso l’aeroporto. Rito dell’abbraccio, che dura una decina di minuti visto il numero di persone. Mi pare che questa dinamica da noi sia ormai storia, un pò perché le famiglie hanno al massimo due figli e non sei, un pò perché l’unità della famiglia allargata è ormai lontana e quindi un cugino mai penserebbe di andare all’aeroporto a ricevere il parente. Mai. C’era pure una vecchina inferma, che per questo non ha rinunciato a venire fino a qui per dargli il benvenuto, nera dai capelli bianchissimi.
Accolgo Chiara tra carezze pali santi e conchiglie. Le faccio conoscere alcune zone interessanti della capitale, a partire dalla mia colonia, la Centroamerica, caratterizzata da colori e quiete, fritanga, baruci e pulperie, i sorrisi e gli occhi dolci di chi le gestisce, l’ArtCafè dove la musica e le parole non mancano mai. Il mercato Huembes, famoso per l’artigianato ed i vestiti tipici dove troverò il suo regalo di natale; mercato che t’avvolge, un po’ per le frasi tipo “que quiere mi amor”, “corazon que le damo”, che le donne dall’immancabile grembiule pizzato ti regalano, un pò per la massa di gente, commercio e sapori che ne sono l’essenza.
Una bellissima cena a casa di Leo, dove quasi tutti i fratelli e le sorelle sono presenti, dove tutti cucinano qualcosa e l’atmosfera è rilassata e divertente, Convinco tutti ad andare a ballare in un locale, descritto come pericoloso solo perché s’azzuffano (come se non succedesse in ogni luogo), dove la musica della costa atlantica spadroneggia, dove ballando si suda, dove ci si stringe ed il ballo diventa metafora, strumento.

Il giorno successivo iniziano le attività di sostegno ai bambini di strada; una lettera inviata per mail dove invitavo a partecipare con una donazione a delle attività con i bambini di strada ha sortito dei buoni esiti. Sono stati raccolti fondi sufficienti per tre attività: due con i bambini ed una con dei malati cronici. Presto al mattino, abbiamo raggiunto Bello Horizonte, che, al di là del nome, è un’area disagiata a nord di Managua, in un barrio vicino a dove abitano i bimbi, ma non nel loro, giudicato troppo pericoloso per organizzarci un’attività: abbiamo intrattenuto un centinaio di bambini con marionette, giocoleria, clowneria, animali fatti coi palloncini e la pignatta (molti di loro sono già inseriti nel mercato informale del lavoro) e le loro giovani madri, per la grande maggioranza ragazzine. Questa attività si inseriva in un coordinamento più ampio che, in altre zone della città, interessava un totale di 800 bambini. Parte dell’organizzazione era della chiesa evangelica, per questo non sono mancate le prediche sull’importanza dell’evangelizzazione nel mondo ed un inquietante marcietta fatta danzare ai bimbi con parole sull’essere soldati di Cristo. Lascio i commenti a voi. Il giorno successivo, verso l’ora di pranzo, iniziamo ad impaccare i 200 pasti cucinati dalla mamma di due care amiche che, facendoci un prezzo di favore, ha reso possibile comprare molte più cene del previsto. I tempi potevano essere calcolati meglio, ma l’inaspettata lunga attesa dell’ultima tranche di pasti ci ha fatto partire quasi alle sei di sera, già un pò tardi, perché i bimbi una volta sceso il sole se ne vanno dai semafori e diventa difficile trovarli. Comunque, viaggiando attraverso zone di differente difficoltà e pericolosità della città, tra semafori, distributori e mercati, abbiamo distribuito le cene. Il più delle volte chiacchierando con i bimbi prima, altre volte no, vista la quantità di ragazzini e i volti imploranti segnati dalla fame e dalla droga, che solo chiedevano il riso alla valenciana al più presto. E tra “huele pega” (sniffare colla) e mangiare, molto meglio che mangiassero anche senza parlarci più di tanto.
Immagini: le mamme soprappeso con quattro cinque bimbi attorno che correvano dal semaforo alla macchina, i sorrisi dei bambini, gli abbracci ed i giochini improvvisati, i sinceri ringraziamenti. Occhi troppo giovani per aver visto e vivere quotidianamente quella vita.
L’ultima attività interessava numerose persone originarie del Nord del paese che da Luglio protestano di fronte al Parlamento in quanto affette da insufficienza renale cronica dovuta alle esalazioni chimiche emesse nell’azienda dove hanno lavorato tutta la vita. Tale azienda chimica, di proprietà della famiglia Pellas, che controlla buona parte delle ricchezze di questo paese (ron, birre, svariate aziende e banche), si rifiuta di riconoscere l’indennità a queste persone. Per questo, da mesi, portano avanti la loro condivisibilissima protesta, seppur in condizioni difficili, vivendo accampati alla meglio in tende di legno rivestite con sacchi della spazzatura. Il pomeriggio, terminato il pranzo con i bimbi, sono andato con Luis, mezzo spagnolo mezzo salvadoregno, storico membro del movimento sociale, a comprare viveri (quintali di riso, fagioli e caffè) e assorbenti per le donne (bene di lusso), nonché dei dolcetti per la cena della sera successiva. La cena, nacatamales (massa di mais con carne all’interno, venduta in una foglia di banano) è stata cucinata dalla zia di un’amica. La serata del 24 sono state organizzate rappresentazioni di teatro e danze tradizionali, musica e ballo, tutto grazie a compagnie che gratuitamente si sono messe a disposizione. Siamo giunti ad attività già iniziate, accolti da Luis che diceva “ecco gli amici della solidarietà italiana”. Si è ballato, grazie ad un impianto stereo e delle casse che riempivano gli ampi spazi, si è fatta giocoleria. Ho passato un sacco di tempo con i bimbi a giocare con le palline, ogni tanto rapendo qualche bimba e ballandoci sfrenatamente insieme tenendola in braccio. Che sorrisi!
Il natale è stato accolto con citazioni dei rivoluzionari di ieri e di oggi, di scrittori come Galeano. La reazione della gente a queste parole è stata forte, commossa ma cosciente della lotta necessaria. Pugni che si stringevano non a espressione di un’ideologia, ma di ciò che quotidianamente devono affrontare. Stringere il pugno per lavorare, stringere il pugno per vivere. Sono seguite le parole d’un prete gesuita, in centroamerica da trent’anni, che ha ben ricordato come il natale sia lontano dai banchetti, lontano dai centri commerciali e dai fasti, lontano da quella babilonia che anche qui a Managua è già radicata; che ha ricordato come il bambin Gesù nasca ai semafori, tra questa gente dimenticata ed osteggiata, che lotta per i propri diritti.
Non nego che la pelle d’oca mi ha vinto. Stringersi in un abbraccio è stato tanto naturale quanto vero, sentito.
Buon Natale, tutti a casa..chi ce l'ha!

domenica 10 dicembre 2006

San Nicolás e la Purissima


Il lunedi sono partito per il campo
destinazione municipalidad de San Nicolás de Oriente,
mai nome fu piu adatto.
Compagno di viaggio Don Eduardo, uomo con otto figli, una pancia enorme legata all’alimentazione tipica, occhi piccoli e sfuggenti, un sorriso dolce e bonario, che da tempo lavora per Acra. Parole di reciproca conoscenza, sulle rispettive famiglie, gli inevitabili commenti sulle ragazze-donne-nonne che incrociano il nostro cammino.
Il machismo é culturale, ogni giorno di piú mi rendo conto che non c’é cattiveria nell’uomo. Semplicemente sono commenti che ha sempre sentito fare e che ha sempre usato. Ogni uomo che ha un’amante per quanto puó la cura, le regala qualcosa, che sia una cena o delle sedie per la casa di legno senza nulla se non l’onnipresente televisore che trasmette novelas colombiane i video di musica anni ottanta. Sono stato a pranzo e a colazione dalla “querida” di Don Eduardo, ragazzotta ben in carne con tre figli. Continuo a non abituarmi a quanto riescono ad ingurgitare. Il riso trasborsa sempre dal piatto, le tortillas, i fagioli, il gallo pinto, e quant altro c’è. Si mangia fino a quando finisce tutto, anche se il livello di saturazione è già superato da tempo. E poi ci si sorprende se fanno due ore di siesta! Ci mancherebbe, la quantità di sangue che si concentra nel processo digerente non permette di fare nulla se non godere della comodità di un’amaca.
Ci sono degli aspetti tristi del machismo, ma le ragazzine che per strada si sentono fare un complimento la maggior parte delle volte sorridono, se non sono loro stesse a fartelo, schiudendo gli occhi nocciola ed il gran sorriso che le accomuna. Il machismo é tante cose, é figlio di uno dei mille mondi che esistono, e che per fortuna ancor’oggi ci caratterizzano. Perció, nonostante l’evoluzione individualista basata sull’equitá nell’uguaglianza che la cultura dominante propone, mi convinco sempre piú dell’importanza dell’uguaglianza nella diversitá: di un concetto che gli indú chiamano complementarietá, che altri chiamano di distinzione-reciprocitá. La relazione nelle diverse culture é in quanto tale; la volontá di svilupparla nella stessa maniera nei luoghi e nelle culture piú disparate mi sembra limitante (e ora le femministe possono ufficialmente organizzarmi un attentato).
Come sempre pochi chilometri fuori dalla polverosa e rumorosa capitale il panorama é completamente diverso. Percorrere la panamericana, la miglior strada di centroamerica che taglia tutti gli stati di questa regione per favorire il commercio tra gli stessi e gringolandia, é fonte di infinita gioia. Panorami di verdi montagne, di coltivazioni floride, di fiori gialli e viola. Un giorno mi convinceró che questa vista sia la normalitá, che vedere grigio e grattacieli non sia la veritá. Per il momento preferisco sentire la mia essenza scalpitare dalla gioia e i miei occhi riempirsi d’emozione nel godermi questi paesaggi.
Ho il compito di scrivere un progetto di sviluppo rurale nelle comunita’ di questo municipio perso nel dipartimento di Estelí, al nord, tra coloro che si fan chiamare norteñi, per la loro parlata canterina, la loro semplicitá, la presenza costante di un cane, un maiale, galline e gatti nella casa. Per il cibo, mangiato con le mani per gustarlo meglio, per le tortilla che non mancano mai. Gli uomini viaggiano sempre con il cappello, gli stivali a punta che spesso lustrano. E nella mia osservazione partecipata mi sono messo jeans e camicetta (certo non sono ancora ai livelli di camicia a quadrettoni da campesino, mi limito alle mie indiane che tanto a mio agio mi fanno sentire), cosí da essere notato un pó meno. Certo la mia carnagione da chele e la mia piña di capelli in testa non aiutano.
Parto con la meravigliosa mitsubishi 4x4 in affido ad ACRA per un progetto. Il volante si muove da solo, ma é solida e rassicurante. Poi il bianco da quel tanto di purezza che é sempre bene accompagni il muoversi, lento o veloce che sia.
La visita si è rivelata utile, ho partecipato a diversi incontri fiume tipicissimi di questa parte del mondo. Si parla per ore chiamandosi compañero e hermano poi si litiga con toni accesi e poi si finisce tutti a cenare tra pacche sulle spalle e desiderio di ron. La zona visitata è freschissima, sensazione ben difficile da provare a Managua. La parte urbana di San Nicolás è caratterizzata da una strada centrale ga un centinaio di metri e qualche trasversale; ricordate Dogville? Le stesse dimensioni ma con un’atmosfera decisamente più allegra. Visito un pretino italiano che è qui da molti anni, vive in una casa semplice dove l arredamento è costituito da un altare e niente più, camminerò con lui tra le comunità la settimana prossima.
Questo fine settimana si celebrava la “purissima”, l’immacolata concezione. Sono stato a Leòn, famosa per l’intensità della “criterissima.” Il paese prepara questa festa nei giorni precedenti. Ogni casa addobba un altare con la Madonna e canta le lodi alla vergine. Le persone invadono le strade e si muovono di casa in casa scandendo, gridando di fatto (e da qui il nome della festa) a loro volta inni a Maria. Tra i più usati: “Quien causa tanta alegria? La virgen Maria!”. Una volta recitati gli inni si attende pazientemente che i padroni di casa regalino un ricordo al fedele. Si va dalla caramellina, alla gelatina, ad artesania varia, fino a vesti, camicie e magliette. I fuochi d’artificio riempiono le strade di questa città, antica capitale di Nicaragua, così tipicamente centroamericana nelle sue architetture. Terminati i festeggiamenti siamo saliti al “fortìn”, una collina sopra la città dove ci sono i resti di un centro di tortura del regime somoziano. La riappropriazione di questi spazi, è parte del processo di rielaborazione che questa gente sta facendo dopo la fine della guerra civile. Le conversazioni si susseguono, l’idea di stare dove qualche decennio fa i compagni sandinisti che lottavano per la liberazione del paese dalla dittatura, venivano uccisi, è qualcosa che da i brividi. Il tutto condito da una vista mozzafiato sulla città, illuminata da fuochi d’artificio artigianali.
Faccio mie sempre più le controversie di questo paese, le dinamiche che lo caratterizzano, i cieli, la terra, i volti ed i sorrisi che lo contraddistiunguono,

Que linda Nicaragua

lunedì 4 dicembre 2006

Frijolero

Tempo dedicato al reinserimento, alla riappropriazione di luoghi, alle parole, agli abbracci, a chiarimenti necessari, a nuovi incontri, a discorsi facili e difficili, comodi e fastidiosi, a parole sulla santeria ascoltate e fatte mie attraverso occhi altrui, alle vittorie dei candidati delle sinistre in Ecuador e Venezuela, al seme della speranza che raggiunge sempre piú persone in questo continente.
Sono stato ad un concerto di rockeros antisistema messicani, i “Molotov”, famosissimi da queste parti. Non dimenticheró facilmente alcune cose: il testo di una canzone
“no me llame frijolero pinche gringo puñetero”, la divisione del pubblico con tanto di rete metallica tra “normali” e “vip”, sfociata inevitabilmente in un lancio reciproco di lattine vuote (alcool sempre comun denominatore), alla faccia della riconciliazione nazionale, la divisione tra liberali e sandinisti é visibile e queste occasioni, di ipotetica unione, ne sono la piú diretta conferma. Ma secondo voi é umano pensare di dividere il pubblico di un concerto, per lo piú di rockeros, con una rete metallica che taglia a metá il parco dove l’evento é ospitato? Siamo all’ennesima costruzione di un muro?
Magari, invece, per qualche ora mi sono trovato in una realtá parallela: al lato del palco, infatti, dj mettevano musica tecno nelle pause del concerto (tecno?!?) e figuri di dubbia identitá tutti abbigliati con delle tute grigie fosforescenti improvvisavano evoluzioni giocose con il fuoco.
Lo scorso fine settimana é stato intenso: c’é stata la riproposizione della serata reggae all’ArtCafé per il saluto ad Elena che passerá un paio di mesi in Italia (che trascorrerà tutti chiusi in una stanza a scrivere progetti alla faccia delle ferie). Belle sensazioni, tanto reggae, musica messa e ballata per Jah e Shiva, per chi a cui il mio pensiero é rivolto. Accompagnata Elena al bus per Guatemala, abbracci sinceri, reciproco volersi bene.
C’é stato sabato, passato in una bella riserva a Sud di Managua, famosa per la sua flora e fauna. Con un bus ed un passaggio si giunge rapidi. La bellezza della flora tropicale é stupefacente: passeggio completamente circondato dal verde, archi composti da fronde intrecciate indirizzano il cammino. Gli alberi sono talmente alti da faticare a vederne il termine, ammesso che ne abbiano! Mi distendo orizzontale, chiudo gli occhi e naturalmente medito, avvolto dal rumore dell’acqua di una cascata che scroscia sulla roccia, da mille uccelli magici, dal vento forte che si avvita tra le roccie.
Un cane indirizzava il nostro cammino, un cavallo si grattava l’orecchio con la zampa posteriore. E domenica, tracorsa tra le onde dell’oceano pacifico, tra spiaggie di sabbia chiara, conchiglie rosa e palme, ma anche immondizia abbandonata sulla spiaggia, tra surfisti nica e venditrici di tortillas, tra uno dei mille tramonti specialissimi che questo paese non si stanca di regalare.

giovedì 23 novembre 2006

Il ritorno

Eccomi qui

aereoplano atterrato
inevitabile stordimento..
anima ancora in viaggio suggerisce Elena,
essenza dell’assenza
assenza dell’essenza dico io

Caldo, si caldo.
Umido, si umido.

Volti mi sorridono all’uscita di quell’asettico ambiente che chiamano aeroporto. Elena, Fra e Lisy sono lì, belle come il sole. Hanno messo a disposizione un pò del loro tempo e della loro energia per venire ad accogliermi. Il delirium transitionis è soave, le parole fluiscono semplici, come se mai me ne fossi andato. Questa è la sensazione. La casa è li, grande e accogliente. Azioni note..la serie di catenacci da aprire e chiudere, le amache da aggirare per raggiungere l’entrata, la polvere, il giallo, i materassi a terra per gli ospiti, il frigo vuoto con la porta che si stacca (novità!), le sedie a dondolo, io che trascino le ciabatte, il giardino con le piante cresciute, i piatti da lavare, le formiche e i geki dappertutto, Lisy, Roberto ed un certo numero di persone che sempre affollano questi spazi nostri. La camera colorata.
Riflessione lucida: questo luogo lo sento come casa, pensiero certamente aiutato da due mesi di divertente vagabondare a casa di persone splendide in una grigia milano scaldata dalla musica e da cuori pulsanti. Vagabondare che, a tratti, ha messo in difficoltà pure la mia essenza nomade, ma che m’ha fatto approfondire conoscenze con persone che sono sicuro accompagneranno il mio andare. Questo luogo che sento come casa perché per la formazione culturale che abbiamo avuto, forse, America Latina è il luogo Altro dove è più semplice sentirsi, a casa.
Prima sera, festa, persone, torno all’ArtCafè dove ho salutato tutti e dove mi riaccolgono. Rivedo volti che mi sorridono, che mi dicono quanto mancavo. Sono stanco, il fuso orario mi vince, durerà qualche giorno. Cado orizzontale sul letto, all’alba già sveglio a passeggiare per il barrio, questa “centroamerica” che tanto mi piace, che alle sette del mattino racconta di donne in gonne colorate e tacones che puliscono la stradina fronte a casa, di venditrici di tortillas dalla voce nasale, di baciata che esce da tante case, di pulperie, di un caldo che fa sudare.
Mi lascio avvolgere dal rumore, dalla lingua, dai sapori forti, aglio e spezie. Caldo, sudo, caldo.
I bus strombazzano, i taxi usano clacson con suonerie per attirare i clienti, caldo, bandiere sandiniste un pò dappertutto.
La domenica mi sveglia la vicina che alle cinque e mezzo del mattino mette a palla baciata e reggaeton. Dopo un primo stordimento, il corpo inizia a muoversi da solo a questo ritmo controverso, che ti fa muovere ma tappare le orecchie. Muovere perché è un ritmo perfetto, tappare le orecchie perché i testi machisti farebbero rivoltare nella tomba qualsiasi femminista.
Lenzuola che ricordano Italia.
Partecipo ad un incontro del Movimento Sociale Nicaraguense in cui, tra le varie tematiche affrontate, si discute pure del nuovo governo. Eccitazione mista ad un realismo della ragione che porta a pensare come poco o nulla cambierà. Il momento a me più caro è stata la conversazione con il rappresentante delle comunità indigena. Anche qui i loro diritti sono molto poco tutelati e quando lo sono, le leggi vengono facilmente aggirate.
Si tratta del rispetto d’un popolo millenario, delle sue tradizioni, culturali e agricole. Cercherò di stare in contatto con queste persone. Emettono un’energia facilmente coglibile.
Le giornate hanno incominciato a volare in corrispondenza della mole di lavoro d’affrontare, la tesi da pensare. Per fortuna i raggi di sole passano attraverso le finestre e regalano luce ed energia in abbondanza, tanti prismi che si riflettono sui muri qui intorno.
E poi gli alberi, i refrescos, la frutta.
Tutto è veloce, tutto è lento in quest’america dimenticata.
Tutto è cuore, tutto è sentimento tra palme e manghi.

L’anima di Sandino riempie cuori indigeni
Gabbiano volo

venerdì 10 novembre 2006

Despedida ed è già Babilonia

Riprendere a scrivere, parole filanti di altri due mesi trascorsi, in prospettiva Nicaragua si, ma dalla controversa Italia, madre e formatrice.
Prima di lasciare la terra di Sandino, dopo il viaggio motivo calendario ho trascorso gli ultimi giorni in una calda Managua, tra conoscenze sempre più approfondite. L’ultima notte ho salutato tutti gli amici all’ArtCafè dove io e Elena abbiamo provato a regalare gioia tramite le vibrazioni reggae, Jah love! Tutto è iniziato per scherzo, chiacchierando con Jader, gestore del locale, su quanto manchi la musica reggae a Managua. Con la semplicità qui tipica in poche settimane casse e computer erano collegate, pronti a riempire le mura ed il circostante di santa musica. E’ andato tutto ogni più rosea previsione, s’è messo musica dalle otto di sera alle quattro di mattina, solo ed esclusivamente roots.. chi l’avrebbe detto? Ho ballato un sacco, ho lasciato che questa musica si impossessasse del mio corpo, mentre rivoli di sudore scendevano rapidi. Le ragazzine sono proprio brave ballerine, pur d’attaccarsi improvvisano reggaeton anche dove testi e musica poco c’entrano. Ho passato un sacco di tempo con Iris, che mi ha pure aiutato a scegliere alcuni pensieri da portare a casa Italia. Mentre attraversavo il Huembe, il più grande mercato di Managua, sono stato avvolto da sonorità di tamburi, mi sono avvicinato per capire che fosse e, meraviglia!, era il suono prodotto dalle donne che sbattevano sul tavolo le tortillas in preparazione. Sembrava d’essere sotto acido, tutto ovattato da questo TUM TUM TUM, ma aprendo gli occhi donne colorate al lavoro, tra canti e chiacchiere.Il mattino successivo, giorno di partenza, giorno di arrivederci, Elena e Lisy m’accompagnano all’aeroporto, dopo qualche ora passata a chiacchierare giunge il mio tempo. Lungo viaggio destinazione Milano, pensieri contrastanti accompagnano le ore di volo, quelle d’attesa. L’attesa si.Rimetto piede in terra italica, delirium transitionis iniziato che gira a velocità folle. Chiara viene a prendermi a Linate, abbronzantissima e piena d’India. Ritrovare una persona importante. Riavvicinarsi. Notti di scambi, parole, intensità, bene, male.Ritorno per il corso di formazione al servizio civile, passaggio indispensabile per ritornare in Nicaragua. Incontro molte persone interessanti alla formazione, quasi tutti sono già stati all’estero a lavorare, dimostrano una adeguata apertura mentale e voglia di fare bene il loro lavoro. Inizio ad itinerare di casa in casa, gentilmente ospitato da persone che neppure conoscevo. Così, dopo una settimana passata da Chiara, zampetterò da Gaia, poi da Vale, da Velca e di nuovo da Vale.
Nuovamente in partenza, Nicaragua!

lunedì 11 settembre 2006

Diretto

accavallarsi di pensieri
subbuglio di sensazioni
conoscenze nuove conoscenze
persistenze
disinserito
retrattile
non pervenuto
brucia
grigia milano
brucio, mi spengo
a domani

venerdì 1 settembre 2006

Integrazione

Eravamo rimasti ad Ometepe, ad i suoi paesaggi ed il suo calore umano. Di ritorno, dopo qualche ora trascorsa a Managua riparto, questa volta destinazione Matagalpa, nord del paese, montagna, per passare gli ultimi giorni delle mie vacanze.Cittadina dal clima autunnale, piccola ma che conta mezzo milione di abitanti. Viaggio in bus con Barton, gringo che lavora tra Washington e Managua per una ong ecologista. Il suo stipendio deve essere buono dato che decide di stare in un hotel da 200cordoba, mentre io trovo tranquillamente una stanzetta per 40. Prospettive immagino.Incontro un sacco di persone: Marjolin, l’amica belga di Lisy, qui per la sua tesi, che s’è trovata un ragazzo nica tatuator-dipintor-artigiano, di poche parole e molto alcool, che indossa costantemente occhialetti alla Lennon. Pablo, figlio di otto anni di Mauro, coordinatore di Movimondo. Amo i bimbi. Partecipo sotto una pioggia tropicale ad un concertino di alcuni ragazzi di Jinotega, che suonano tipico repertorio nica. Leo mi introduce ad un gruppo di dieci turiste catalane a cui sta facendo da guida, più o meno interessanti, una individualità su tutte, Iolanda, Iolanda. Bionda, riccia, mamma di Ian di quattro anni, occhi nocciolati, costante sorriso, conversazioni rivitalizzanti.Presto mi immergo nella naturalezza che circonda la città; montagne verdissime, fusti enormi e ben alti. Impressionante la quantità di flora, di vegetazione, le dimensioni, la densità. Visito una finca di caffè organico in cui c’è un giovane agronomo nica che spiega un sacco di cose su questa pianta (sapevate che per dare i primi chicchi la pianta deve vivere almeno tre anni? Che deve crescere all’ombra per essere di qualità? Che i pesticidi organici sono costituiti da farina?). Nella passeggiata attraverso la finca di caffè, si scoprono enormi banani (utili come fertilizzanti), ananas, manghi e pitaya. Il momento più divertente è stata la camminata verso le cascate, guidato da Carlos, catalano che vive qui da tre anni. Il ragazzo sopravvive facendo la guida turistica. I catalani in Nicaragua, come quantità, sono paragonabili agli israeliani in India. Tra fiumi guadati e sentieri percorsi a piedi scalzi, immersi nel fango con relativi piacevoli scivoloni, mi sono immerso in queste acque gelide, prodotto di queste meravigliose cascate.Dopo queste giornate è iniziato un tempo, dedicato all’integrazione con il locale, alla scoperta e all’investigazione.Tre settimane, forse più, piene di incontri, di persone, di luoghi, di volti e parole.E’ stato il tempo in cui ho avuto la conferma ufficiale di aver vinto il servizio civile con Arci, fatto che mi permetterà di trascorrere altri otto mesi in Nicaragua, a partire da novembre, finalmente pagato, così da non dover pensare ogni attimo a come investire la seppur minima cifra.Come potete immaginare questo avrà delle conseguenze, su di me e sull’intorno che m’accompagna. Mi permetterà di costruire per poi nuovamente partire, di nuovo. La vita del cooperante, con tutte le sue contraddizioni.Nel frattempo ho plasmato casa, la camera m’assomiglia ogni giorno di più, sa di colori, sa di vita, sa di esperienze accumulate, cui guardare attraverso il canale fotografico, sa di India, quanto sa di India. Ho dipinto parte del bagno d’un arancio vivo, che si sposa bene con il giallo acceso che già c’era.Arancio e giallo.La casa è un centro sociale, gente che viene e che va, ai muri i poster degli eventi sociali organizzati a Managua, un Sandino enorme, tante bandiere, tanti ideali. La gioia di svegliarsi il mattino ed incontrare nella sala-dormitorio qualcuno più o meno conosciuto, fermatosi dalla sera prima, di passaggio, o li, semplicemente perché gli va. Preparare il caffè mentre Lisy si diverte tra avena e frutta, abbracci sinceri a questa ragazzina belga. Ricevere amici la sera per ballare, lasciare che il corpo si sciolga. Chiacchierare, conoscere pian piano queste persone speciali che con tanta gioia mi hanno accolto: il sorriso di Leo, le trecce di Lisy, la gestualità di Roberto, le danze di Alam, gli occhi di Iris, la testa di Cristian.Scoprire la storia dei Nahual, gli indigeni che abitavano questa terra prima dell’invasione colonizzante spagnola. Nicaragua, “triangolo sobre el mar” in nahual.Ascoltare le canzoni della rivoluzione sandinista, rabbrividire.La settimana che si è appena conclusa mi ha visto protagonista d’un viaggio di lavoro: sono tornato ad Ometepe, la isola magica, e poi ho proseguito per San Miguelito. L’idea era di fotografare i progetti in corso, conoscere i partner locali e fare una sommaria valutazione dei progetti in corso, la sostenibilità di quelli già terminati.Approdo ad Ometepe e Martin mi porta in moto in giro per l’isola. Che paesaggi, apprezzati ancor più vista la velocità minima legata alla pessima condizione delle strade. Passo la notte in una comunità di donne che, organizzatesi in un comitato, offrono alcune stanze e vitto. Sto in un nucleo familiare tipico, nonna, figlie, mariti e nipoti. Coltivano le loro cose, animali in quantità, chiacchiere a volontà. Mi sono bagnato nel lago, ho respirato un altro indimenticabile tramonto guarnito da una donna che faceva il bucato nelle acque evangelizzando il figlio che le nuotava intorno. L’evangelismo qui s’è sviluppato molto negli ultimi decenni; questa setta predica l’astinenza da alcool e da tanti piaceri peccaminosi. Nella circostanza la donna stava raccontando e commentando la parabola del figliol prodigo, mi sembrava d’essere in un altro tempo ascoltandola. Lago, tramonto e una donna che evangelizza il figlio. Naturale sorriso, cuore si scalda e ringrazia chi di dovere per poter essere dove sono. La nonna ha passato ore a cercare di fidanzarmi con la nipote, una ragazzina che sta per compiere quindici anni. Diceva che non mi devo preoccupare, che la ragazza continuerà a studiare, ma che intanto ci si fidanzi. E certo, manca che mi metta con una quasi quindicenne adesso (peraltro, come troppe indigene, di una bellezza disarmante).La camera dove alloggio è arancio e verde mare, con dipinti tipici dell’isola. Da una finestra posso gustarmi il panorama, parte di questo è un cavallo bianco. Dal mio letto lo guardo, e lui s’avvicina fino ad infilare la testa in camera; lo accarezzo, nitrisce, e contento se ne torna a scorrazzare per il parco. Cavalli bianchi, quanti ne ho incontrati in questi due mesi.Il giorno successivo altro spostamento in moto, direzione Altagracia, dove si è sviluppato un progetto per la protezione delle coltivazioni di platano (banano) da un insetto che lo uccide. In sostanza s’è sperimentato l’utilizzo di un fungo naturale che protegge l’albero, così da non dover utilizzare pesticidi. Se è vero che l’utilizzo del fungo si è dimostrato soddisfacente, è anche vero che al momento non lo si sta utilizzando, perché lo stesso non cresce nell’isola. Quello che si sta facendo è organizzare una coltivazione del fungo nell’isola, così da poter presto proteggere in modo naturale le piantagioni. Immerso tra i platani ascolto e partecipo a discussioni campesine. Immerso tra i platani miro e ammiro la fermezza di questi, come di tanti coltivatori di fronte ai problemi che la cooperativa comporta rispetto alle ristrettezze energetiche, all’acqua che non c’è. Termino la visita, rimonto in moto e tagliamo l’isola, tra i vulcani Asuncion e Madera, tra il lago e la foresta, tra case di legno sognate, tra donne che lavano i panni nel lago, utilizzando gli scogli per stendere la roba così da formare una distesa di colori che squarcia la vista. Chiedo a Martin di lasciarmi li; passo le ultime ore sull’isola disteso tra sabbia fine, terminando di leggere un libro di Ramirez sulla rivoluzione.Al crepuscolo salgo su un traghetto, chiamiamolo generosamente così, direzione San Miguelito, costa est del Lago Nicaragua. Il barco è su due piani, l’inferiore, seconda classe, dove una quantità esagerata di gente si ammassa, e il superiore, prima classe, dove c’è un’aria condizionata freddissima. Risolvo montando l’amaca, tra mille amache, trascorro il viaggio piacevolmente cullato dalle onde e da una pioggia leggera. Intorno carichi di platani e viveri vari che vanno dall’isola alla costa. Il viaggio è interrotto da luci forti quanto inaspettate, porti improvvisati dove si caricano e scaricano le mercanzie.La giornata comincia presto, visito un gruppo di donne con cui Acra ha un progetto per il rafforzamento della situazione economica delle donne nubili con figli. Comprano il pesce al porto, lo trasportano alle loro comunità e lo vendono. Parte del ricavato va a loro. Nella passeggiata scopro il pueblo di San Miguelito, definito di povertà estrema dagli indicatori del PNUD. Come spesso mi capita di notare è si pieno di sofferenza, ma pure di sorrisi, di un impegno per migliorare le cose, di un sentire lucha che pare intrinseco in queste persone. Le donne si prendono cura di me, mi regalano manghi e pitaya da portare a Managua, “che li le cose non sono più genuine” dicono, e una bottiglia di ron. Invece dei pomodori mi danno il ron. Indicativo direi. Saluto le signore che m’accompagnano a prendere il bus, a dieci chilometri dal pueblo. Ovviamente non ci sono orari quindi aspetto un paio d’ore, in compagnia di una signora che gestisce una pulperia nel bel mezzo del nulla. Mi racconta della famiglia, di come il suo istinto di maternità sia ancora forte, avendo solo sette figli. Effettivamente nelle zone rurali il numero di figli varia tra cinque e dodici. E il tasso di crescita è molto forte: mezzo Nicaragua è minorenne! I figli ci fanno compagnia per un pò, poi ognuno va in una direzione diversa, si rivedranno più tardi o il giorno dopo. Una scena surrealista: la donna, pesantemente appoggiata al banco di legno della pulperia, giusto all’incrocio di due strade. Ogni figlio se ne va in una direzione diversa. La donna controlla i tre allontanarsi, scomparire piano all’orizzonte.Il bus passa, mi siedo in un sedile di legno che regalerà una gioia infinita al mio posteriore. Ci sono solo campesinos forniti di immancabile camicia a quadrettoni e cappello da cow-boy con piuma, e donne, con un certo numero di scoppiettanti figli aggrappati. Mi siedo vicino ad un uomo maturo, apparentemente cinquantenne, scoprirò poi avere sessantaquattro anni. Io non sono la rappresentazione del macho, un pò per costituzione e un pò perché proprio non lo cerco. Ma evidentemente il contadino ha dei parametri molto ristretti, tanto da domandarmi con una naturalezza sconcertante. “Vo eres mujer?„ La cosa divertente è che ora ho la barba lunga! Tutto si spiega quando in quel modo tipicamente nica di indicare una cosa manda una sorta di bacio verso i bracciali che porto. Questo gesto lo ho già fatto mio, come era stato in India per il grazioso ondulare del volto. La mia spiegazione sulla sacralità dei bracciali non lo convince, meglio va quando gli dico che ho “La” fidanzata che verrà in Nicaragua e ci sposeremo presto. Solo allora si è tranquillizzato, invitandomi caldamente a tagliarmi i capelli prima di sposarmi altrimenti, dice, sarà un matrimonio di due donne. Tutto questo simpatico interscambio attira l’attenzione del bus intero, anche perché l’uomo non si lascia scappare l’opportunità di ripetere ogni singola parola ad alta voce. Donne e uomini ridono di questo chele atipico. E io partecipo autoironico, rendendomi conto che se risulto alieno in Italia, è normale che un campesino nica nutra dei dubbi su di me; che poi li focalizzi sulla sessualità questo è tipico del macho locale. A parte questa cosa, la conversazione è stata interessante: quando mi ha detto quanti anni ha, ha usato queste parole “ Fuè un dia miercoles, el 2 de mayo del ano 1942. Hacia un gran calor”. Noi risponderemo con un sintetico e sistematico 29/5/80. Sbaglio? Mi ha parlato della sua fattoria, mi ha chiesto quanti ettari abbia la mia famiglia, quante vacche. Parametri di valutazione della ricchezza differenti. Alla fine, dopo avermi preso un sacco in giro, m ha stretto forte la mano, mi ha augurato con sincerità buona fortuna, ha tirato un gran fischio ed è sceso dal bus in corsa

mercoledì 16 agosto 2006

Ometepe

Di ritorno da León muovo verso Ometepe, questa volta in compagnia di Elena, la filosofa che lavora con me. Chiacchieriamo e piano piano ci conosciamo; si scoprono differenze d’approccio comprensibili e rispettabili. Passo una notte a Managua prima di ripartire; trovo ospitalità a casa sua, nell’immancabile materasso riservato agli ospiti. Nella loro magione inizia a respirarsi il sentire casa. Hanno dipinto le finestre, alcune stanze, hanno un patio bellissimo, colmo d’alte piante che consentono una piacevole immersione nella naturalezza seppur vicini alle rumorose vie della capitale. M’addormento leggendo Animal Tropical di Gutierrez, racconto del rapporto vita-amore-carne tra le vie di La Havana. I Caraibi sono lontani da Managua. Sorrido leggendo, mi preoccupa il mio totale distacco dalla sessualità. Ho molti pensieri, molti. Al mattino mi sveglia il gatto di casa, minuscolo, ma già ammaliatore con le sue fusa e le sue leccate, bello come le piccole cose regalino il sorriso.Veloci alla stazione, bus per St. Jorgé, direzione Ometepe, raggiunta nel tardo pomeriggio dopo aver viaggiato in taxi, bus, barca, taxi e ancora bus. Ometepe è un paradiso.E` un isola che emerge dal Lago Nicaragua, con due vulcani, il Madera ed il Concepción, che dominano il paesaggio tropicale. Improvvisamente mi rendo conto d’essere ai tropici. Palme altissime, banani, platani, papaia e manghi; alberi altissimi, vegetazione fitta, immancabili macheti. Metto piede nell’isola accolto dalla musichina magica, fatto che si rivelerà purtroppo piuttosto casuale. Elena quando sente la musica mi guarda e sorride, consapevole di trovarmi saltellante, tra sguardi perplessi, ma pienamente felice; le persone iniziano a conoscermi. Le ultime note della canzone accompagnano un cavallo bianco selvatico che galoppa seguito da tre cani. Per raggiungere il nostro obiettivo, playa de los volcanos, percorriamo l’isola in bus che, come spesso in centroamerica, è uno di quei scuola bus gialli tanto usati negli Stati Uniti negli anni cinquanta e sessanta. Chiamare strade ciò in cui il bus s’arrampica è coraggioso, niente comunque paragonabile all’epico viaggio verso Leh, Tibet indiano. Odori e sapori, volti e colori. Sudore, corpi stretti, vestiti appiccicosi. Al passare del bus la gente interrompe che sta facendo, s’avvicina alla staccionata di casa, chi guarda solamente, chi saluta. Lo scorrere di una macchina è qualcosa di speciale, per cui vale la pena prendersi qualche minuto di pausa. L’autista ferma diverse volte per farsi la spesa, ovviamente tutto ciò è normale. Elena mi racconta che il padre di un suo amico, autista di bus a Bari, un giorno, mentre era in servizio, è passato con il mezzo per casa, è salito, si è fatto un panino ed è ripartito. Ha rischiato il linciaggio. Immaginatevi a Milano. Qui tutto bene, la gente chiacchiera tranquilla, chi approfitta per urinare, per fumare. Il concetto dell’attesa è sostanziale al paese. Scendiamo prima di Madera, mentre tutti i turisti proseguono; seguiamo il suggerimento di Lisy, che ci immerge rapidamente in un paesaggio da favola. Alcuni ragazzi nica, suoi amici, gestiscono un posticino con un dormitorio e alcune amache, fronte lago (a dieci metri dal lago). Intorno solo vegetazione e casette di legno dei locali. Nessuna Babilonia, solo naturalezza. Mi spoglio e, finalmente, m’immergo nelle acque tiepide del lago. Ci metto un pò a connettermi all’intorno, poi credo mi compaia un’espressione più idiota del solito, tanto che Elena, preoccupata, mi domanda se va tutto bene. Sono emerso dall’acqua e le ho fatto cenno di guardarsi intorno. Da un lato il lago che si estende a perdita d’occhio, di fronte la spiaggia e la mia amaca, a destra e sinistra i vulcani. Immergo e riemergo, è tutto vero! Sulla spiaggia, non lontano da me, due cavalli bianchi sgroppano felici, simbiotici. Sulla spiaggia, vicino a me, un enorme maiale passeggia placido. E`il maiale dei vicini, ottimo investimento per una famiglia, che lo venderà, dato che la carne di porco praticamente non si mangia qui, ricavando da viverci per un mese. In più, da vivo, il maiale è un compagno di giochi gradito dalla figlioletta.Il tramonto è memorabile, mentre il sole sta per scomparire una barca di pescatori esce a gettare le reti; sfondo arancione riflesso sul lago. Tra me ed il sole che ci saluta, i pescatori. Sentire che ci sono tutte le condizioni perché sia perfetto. Sentire che è bellissimo, ma non è perfetto. Passerà, passerà?Il senso di comunità è forte tra gli isolani. Nel posto dove stiamo, tra un’amaca, un bagno ed una chiacchiera, ogni sera danno lezione ai ragazzini che fanno più fatica ad apprendere ed agli adulti, così che con un diploma abbiano maggiore possibilità di trovare lavoro. L’educazione alternativa, retaggio della rivoluzione sandinista. Ad organizzare tutto ciò è Carlo, un nica di qui divorziato, alto un metro e mezzo e con una pancia delle stesse dimensioni. E’ il classico capo comunità, che gestisce molto, troppo, ma che nella contingenza sembra farlo bene. C’è poi Wendi, svizzera di trent’anni che, passata di qui sei mesi fa, all’inizio del suo viaggio in america latina ha finito per innamorarsi di Pancho, 19, e non è più ripartita. Lavora e aiuta i ragazzi a gestire il tutto; credo, sbagliando, sia stata accettata dai vicini, dato che, verso sera, giunge una donna con un pezzo di torta per lei e glielo offre sottolineando come venga dalla capitale! Gli occhi di Wendi si illuminano adoranti.La notte è notte di luna piena. Quanta energia, quanta fortezza, quanto. Sono attraversato da flussi divergenti, felicità per ciò che sto vivendo, che, in quanto tale, è imprescindibilmente legata ad altro, all’altro. Peccato non sia così per entrambi. Peccato di lastima e peccato di peccato.A tratti nascosta dalle nuvole, la luminosità della luna è tale che trascende l’ostacolo naturale per illuminare il lago. L’acqua, liscia in questo lato d’isola, accoglie la candela che accendo a Ochun e alle sue forme terrene. Candela, acqua dolce, meditazione, preghiera, pensieri, esasperata ed esasperante intensità. Perché tutto è così forte, perché trasudo sentire? Nel mezzo di ciò le nuvole si diradano naturalmente, ora si la spiaggia è illuminata a giorno. Ora si gli gnomi la popolano, spiritelli vagano felici a pelo d’acqua, chiacchiere immaginate, scambi desiderati. Traccio tre linee orizzontali, la candela come lingam brucia nel mezzo delle tre; perché si è Ochun, ma è anche Shiva. Perché i due sono legati da tempo, perché lo siano nel tempo. Perché sento che è così. Brucia candela, brucia. Sono ovattato all’intorno, compresso nel mio modo mondo.“La vida es el hecho cosmico del altruismo y existe solo como perpetua emigracion del yo hacia el otro” dicono Ortega e Gasset. La propria vita vale quello che vale, ma è il donarsi che la rende magica.Mi distendo a mirare le stelle, poche volte ne ho viste così tante, così luminose, lontano dall’inquinamento ambientale, lontano da babilonia. L’intorno è uccelli, un rospo, un cane che si distende placido accanto a me. Un cane in riva ad un lago. Riposiamo insieme.M’addormento sull’amaca cullato dalle note dolci delle onde che incontrano la spiaggia.Passeggiando l’isola si scopre ancor più quanto fitta la vegetazione sia: fiori, mille tonalità di verde, tratti indigeni, chiese, bimbi felici come bimbi.Biciclettando tra stimolanti sali scendi, raggiungo un luogo dove sono custodite rocce incise da iscrizioni e geroglifici risalenti alle culture indigene che vivevano questo luogo prima della conquista spagnola. Ho continuato scalando le colline dissestate di questa magica Ometepe, via veloce in discese dove il manubrio sembra volare lontano, tenerlo stretto, per evitare rovinose cadute. Raggiungo una spiaggia bianca che da sull’altro lato del lago, qui la marea è più forte, le onde piacevoli. Ci sono pellicani, aquile, cavalli, vacche, ovviamente cani.Mentre le giornate scorrono veloci, l’ultima sera accade qualcosa di inaspettato. Chiacchiero, meglio discuto, con due immancabili israeliane: è impressionante il lavaggio del cervello che tre anni di militare comporta in queste persone; vedo Wendi e Pancho, lei estremamente sorridente, lui con la solita espressione impenetrabile da uomo di mare. Con la semplicità delle cose grandi annunciano di essersi sposati. Tutti rimangono di sasso, nell’incertezza umorale sono il primo a congratularmi, rotti gli indugi tutti si avvicinano e sono baci abbracci e pacche sulle spalle. Le ragioni di questo matrimonio sono tante, certo si vogliono bene, certo ricevere la cittadinanza svizzera non è la cosa più semplice per un centroamericano senza educazione né lavoro. Ecco dunque che la colonialista svizzera ha pensato di risolvere la questione così. Dico colonialista perché man mano che la serata avanza ed i nica bevono ron emerge tutto il loro disappunto per quello che è successo. I due hanno comprato una torta, invitato parenti e vicini, ma a parte qualche bimbo nessuno è venuto a festeggiare. Pancho lascerà Ometepe destinazione cioccolato svizzero in Ottobre. Un’opportunità direte voi, immagino di si. Il suo volto sembra estraneo ai festeggiamenti, posso immaginare il miliardo di pensieri che gli scorrono in testa, l’attaccamento alla sua terra, la natura tropicale, le cose semplici, le amache, svegliarsi con il lago di fronte. Non riesco nemmeno a capire se sia innamorato o abbia solo pensato di cogliere questa opportunità e, come dice lui stesso, a ver que onda. Fatto sta che mentre Wendi se lo sbaciucchia e abbraccia tutto il tempo, lui non celebra affatto. Se ne va a dormire per primo. Lei è talmente innamorata che non coglie il grottesco. I miei sentimenti sono contrastanti verso ciò che sta accadendo, mi sento in equilibrio precario. Vado al lago, accendo una candela ai neosposi, non sorprendentemente, si spegne subito. Prego ugualmente per queste vite, per questo lago e per quest’isola.Ometepe, Ometepe..energie contrastanti.. Felicitaciones muchachos locos

lunedì 7 agosto 2006

Giornate indigene, serate afrocaraibiche, futuro reggae

Martedì, primo giorno di un Agosto che è inverno, emisferico e sensoriale. Managua festeggia il suo santo: Domingo. La città si sveglia presto con un fastidiosissimo sottofondo, lo scoppio di botti, immancabile colonna sonora di qualsiasi evento, religioso e non solo: una coppia di sposini, uscendo dalla chiesa, invece che dal riso, è accolta da rumorosissimi e molto poco scenografici fuochi d’artificio. Passeggio per le vie affollate da persone che aspettano il santo, portato a spalle da devoti che gli hanno chiesto qualcosa e ripagano il suo aiuto in questo modo. Molto simile a ciò che succede in Andalusia durante la “Semana Santa.” Molto meno borghese, molto più popolare. Ci sono dei neri figuri che s’aggirano per le vie. Sono ragazzi seminudi spalmati di grasso nero, o rosso. Rappresentano il diavolo tentatore (curiosa anologia con i colori del Fronte Sandinista) e circuiscono le persone nel tentativo di sporcarle, recitando il loro ruolo alla metà tra il serio ed il faceto. Il Santo passa, accolto da segni della croce ed applausi. In tutto ciò il nica medio è completamente ubriaco di ron. Il ron è un problema, la gente proprio non si rende conto di quanto ne beva, raggiungendo dei livelli di incoscienza che precedono quasi inevitabili scatti di violenza.Ovviamente una delle ragazze spagnole a cui Leo fa da guida viene derubata. Inizia così un, purtroppo interminabile, racconto del numero di occasioni e circostanze in cui tutti (non qualcuno, ma tutti) sono stati derubati o assaliti. C’è Iris, sorella d’Emilio, che viene derubata una volta all’anno da dodici anni. Quest’anno deve ancora succedere, attende l’evento con gioia. Emilio, menestrello cantastorie, condivide svariate situazioni in cui s’è trovato di fronte a ladri, per lo più ragazzini di dieci, quindici anni. Nella tristezza, due casi mi hanno fatto morir dal ridere: una volta camminava tranquillo sul marciapiede che costeggia una delle arterie principali della città con nello zaino computer, macchina digitale e portafoglio. Viene avvicinato da ragazzini muniti dell’immancabile metro di machete. Lui per schivarli si butta in mezzo alla strada, bloccando il traffico, sicuro di provocare una cagnara tale da far scappare gli assalitori. Se non che, il traffico si ferma, placido. Nessuno scende, nessuno suona, aspettano seduti comodi nelle loro macchine l’evolversi degli eventi. La violenza è spettacolo, anche grazie ad un nefasto programma televisivo che ogni mezzodì manda le immagini degli assalti che quotidianamente avvengono. Così che i ragazzini agiscono indisturbati. Risulta fastidioso, a parte l’indifferenza della gente, il fatto che, una volta andati dalla polizia per denunciare l’accaduto, accompagnato da testimone che conosceva l’assalitore, il poliziotto ha ben pensato di non procedere a nessuna denuncia. Causa: l’insufficienza di prove (!!!). L’altro racconto è ambientato di sera, in un barrio poco raccomandabile in cui finisce per caso trasportato da una discussione accesa con un amico che gli fa perdere di vista la direzione che stavano seguendo. Si sono trovati così nel pieno della notte in una delle zone di Managua in cui nessuno si avventura. Risultato, sono stati assaliti in pochi secondi e lasciati letteralmente in mutande. Immaginatevi questi due uomini che se ne girano in mutande cercando un taxi nel pieno della notte. Tutto ciò è abbastanza triste, ma spero di trasmettervi il lato divertente della faccenda.La giornata del Santo è trascorsa piacevolmente tra questi racconti e chiacchiere varie con Leo, Pelu, psicologa cilena, e Dominique, svizzera, insostenibile nella sua chiusura mentale (sapevate che la stragrande maggioranza degli italiani a casa fa il caffè filtrato? scordatevi la caffettiera, noi facciamo il caffè filtrato. Lo dice una ricerca che ha letto Dominique, ciò vale più di una bibbia o dell’umile parere di uno che in quel paese c’è cresciuto). Pranzo tradizionale, repollo (riso e fagioli fritti e strafitti, buonissimo). Emilio ci ha portato da Paolo, gringo trasferito in Nicaragua da una vita, che si è costruito una casetta semplice in cima ad una collinetta, da cui si vede tutta la città. Venendo con il camion dagli Stati Uniti si è caricato una roccia enorme che ha trovato per strada, così che, in cima alla collina, campeggia questo monolite. Sculture sparse per il giardino, tipicamente tropicale. Il personaggio, piuttosto simpatico, lascia sempre i cancelli di casa aperti, chiunque può entrare, porta il cibo, e si cucina e chiacchiera insieme. Bella vista, persone simpatiche, spagnole che festeggiano ugualmente le loro disavventure centroamericane.Sono uscito con Mariarosa la mezza nica, mezza spagnola. Ha lasciato Granada, dove viveva in Spagna, con una borsa di dottorato per il Nicaragua. Ha vissuto tra gli indigeni della costa atlantica, tra poco tornerà lì dove inizierà a lavorare con le comunità. Viaggia veloce per le vie di Managua con il suo maggiolone bianco, suona il clacson come un nica navigato, ma con una dolcezza particolare. Balla la danza del ventre da una vita, e si vede. Sorride, non troppo, c’è qualcosa che non riesco a comprendere in lei; poco male, mi auguro avrò modo di annaffiare questi semi d’amicizia appena piantati. Mi ha dedicato una serata per raccontare la sua esperienza con gli indigeni all’Est: ha compiuto una ricerca con un gruppo di studenti per una sorta di censimento dell’area. Il Nicaragua è spaccato tra Est ed Ovest, tra la parte indigena e afrocaraibica e la parte spagnola, dove Managua si trova. Le strade non arrivano all’Est; ad un certo punto si navigano i fiumi con delle lanche, barchette di legno che viaggiano ad una velocità esagerata. Questa difficoltà nei collegamenti ha mantenuto marcate le diverse identità, nonostante la globalizzazione imperante, risultato del fino lavoro della CIA negli anni ottanta e a seguire. Nella costa atlantica, al Sud, si parla inglese, si balla reggae. Andrò sulla costa atlantica, ma non subito, voglio potermi fermare abbastanza da capirci qualcosa, fatto non possibile ora. Bella la diversità, stimolante.A questo proposito ho conosciuto due gringo di New York, che girano video reggae nella costa e stanno provando a portare il reggae a Managua. La coincidenza voleva che solo qualche sera prima avessi parlato con il gestore dell’ArtCafè a questo proposito. Così ci siamo aggiornati per discutere meglio i termini.. il reggae sta arrivando a Managua.. già la prossima settimana, sfruttando la musica nel portatile mio e di alcuni amici ci sarà una serata dedicata alla musica di Jah. Sempre che non mi rubino il portatile da casa al locale. Fatto non escludibile in alcun modo.Per festeggiare un mese in Nicaragua, sono andato a León, due ore a nord di Managua vicino alla costa pacifica, con Lisy la belga, al mio primo concerto reggae nicaraguese. Abbiamo trovato una camera a due euro in un posticino stupendo che si chiama Casa Vieja, una magione tipicamente nica con la foto di mille avi appese, le sedie a dondolo, piante e musica che risuona tutto il giorno. Il concerto era organizzato per i venticinque anni dalla morte di Marley in un localino della città. Dopo un breve shock iniziale, legato all’assenza del minimo spazio per ballare, ho ben pensato di fregarmene. E’ iniziata la proiezione di un concerto di Marley, due ore di pura energia. Vedendola da fuori la situazione era strana: c’erano un pò di stranieri in vacanza impegnati a baccagliarsi vicendevolmente, moltissimi nica, giovani e meno, impegnati a riempirsi di alcool, io Lisy e l’organizzatore del concerto che saltavamo tra i tavoli ballando felicemente. Tre folletti guidati dalla musica felice, danze! Quando il concerto è iniziato qualcuno in più si è mosso, ma c’era questa immagine che m’è rimasta impressa. Ad un certo punto ho dato le spalle al palco per vedere che succedeva, e mi sono trovato di fronte qualcuno che ballava, subito dietro un muro infinito di braccia incrociate su corpi immobili. Una barriera dell’ovest verso la musica dell’est. Segregazione culturale. La notte è stata piena di danze, di un nica che ballava benissimo, di un brasiliano capoerista che ci ha provato un sacco con Lisy e non trovava ragione del fatto che lei volesse solo ballare. Scene già viste. Poi Alex, un rimastino dominicano, altrettanto ottimo ballerino, oggettivamente belloccio con dread che ha fatto le smorfie a Lisy per le sue treccine finte (con tutte le ragioni). Alex che dice d’essere un narcotrafficante, Alex che non può più entrare in quel locale perché è successo qualcosa, Alex che sorride.Lisy gioca con le palline e con il Diablo, speriamo di imparare, speriamo di sorridere.

martedì 1 agosto 2006

Connessioni

tempo scorre rapido tra queste terre fertili.Un'altra settimana è passata, e tra qualche giorno sarà già un mese di vita nella terra di Sandino. La scorsa domenica sono stato con Gaia in giro per il Sud. Pick up e tanta allegria. Lei è un’italiana di trent’anni che ha lavorato qui un anno e mezzo ad un progetto per la ricostruzione di case nella zona colpita dall’uragano Mitch. Lunedì è dovuta tornare in Italia vista la fine del contratto..la precarietà! come descrivere i suoi occhi nell’ultimo giorno trascorso qui. Persone, paesaggi, calore che, forse, non vedrà né sentirà più. Certo ce ne saranno altri, certo. Siamo stati a Granada, cittadina molto pulita e piena di giovani gringo che vengono a studiare spagnolo. Granada è piazze, edifici bianchi e arancioni, è Messico, è manghi. Da sul Lago Nicaragua, il più grande del centroamerica. Qui un giorno prenderò il battello che mi porterà tra le isole magnifiche che caratterizzano questo lago. Di ritorno ci siamo fermati a Masaya, che prende il nome dal vulcano che la circonda. Sotto Masaya c’è una laguna chiamata d’Apoyo. Immaginatevi la vista: tutto è verde perché è stagione di piogge, alzate gli occhi e c’è un enorme vulcano, abbassateli un pò, piano piano, godendovi il verde; improvvisamente è acqua, una distesa senza fine. Vulcano, bosco e laguna. A Masaya c’è pure un mercato famoso per le amache, tutte intrecciate pazientemente a mano, coloratissime. Perdersi tra i mercati, che gioia. Chiudere gli occhi e lasciarsi avvolgere dai suoni, le signore che vendono cibo, gli uomini che cambiano dollari, le venditrici di artesania. Chiudere gli occhi e respirare i sapori. Aprire gli occhi e godersi i volti, i bimbi, gli storpi, i colori accesi.Gaia va, abbracci, sincero affetto. Piccoli consigli per il ritorno in Babilonia.Anche questa settimana la Cinemateca ha offerto un programma piacevole: sei giorni dedicati alla proiezione di film cileni. Il martedì, alla prima, giungo con Elena e scopro che l’entrata è ad invito. Poco male, come chele (bianco) ci sono dei benefici (e non vi dico i fastidi etici nell’usufruirne) e così mi godo la pellicola tra inni nazionali, ambasciatori, bicchieri di vino cileno e discussioni sul cinema cubano. Marcio, il direttore ventottenne della cinemateca ha studiato regia a Cuba, chiacchierare con lui è sempre piacevole. Mi ha raccontato che il giorno in cui dovevano proiettare il documentario su Fidel, in realtà non era saltata la luce, ma avevano rubato il proiettore! La sua frustrazione nel raccontarlo era tanta, e lo posso ben capire. E’ una delle persone che si sbatte per creare e offrire cultura, e qui comprare un proiettore non è esattamente alla portata di tutti. Era pure arrabbiato perché dice come la polizia in realtà non stia investigando, come creda ci siano intrecci loschi. C’erano poi un numero di ragazzine già donne, certamente non timide nell’approcciarsi. Direi che la riservatezza incontrata in India, in Centroamerica si concentra in Guatemala, dove sì la componente indigena ha un approccio alla sessualità molto intimo. Qui no, ma le giovini cadono male con me, non è proprio area. Certo però si imparano le dinamiche di relazione, l’osservazione partecipata trionfa. La serata è proseguita in chiacchiere. Ho conosciuto Natalie, nica ventottenne, appassionata d’India; lavora in una clinica a Matagalpa, al Nord. Persona interessante, con due gemelline. Femminista, attivista, una buona compagna per quando visiterò la città.E questa settimana è coincisa, finalmente, con la prima visita al campo. Mi ha fatto proprio bene, lascio a voi immaginare come mi sento rinchiuso in ufficio tutto il giorno. Certo inondo la sede di ACRA di reggae e musica in genere, ma ho bisogno di persone, di stringere mani e incrociare gli sguardi di chi realmente è protagonista di questo mondo che si chiama CentroAmerica. E allora vado nel distretto VI, il più grande di Managua, con due rappresentanti del dipartimento ambiente dell’Alcaldia. Sorridono sempre, scherzano, sono belli da vedere. Ascolto con attenzione cosa mi dicono per poi riproporre le stesse domande ai lavoratori delle microimprese che raccolgono l’immondizia e la riciclano. Per una volta, la differenza tra quello che l’Alcaldia racconta e la verità non è poi così enorme; normale che per ricevere maggiori fondi l’Alcaldia si inventi il paradiso. Ogni microimpresa ha una giunta direttiva. Quella che visito è in area sandinista. Le persone con cui discuto, una donna ed un uomo, mi danno il benvenuto nelle loro baracche; mi parlano della mancanza di mezzi, di come le biciclette si rompano sempre. Ma sono attivi, si arrangiano, sono creativi, soprattutto credono in quello che stanno facendo. Soluzioni fantasiose ma efficaci. La donna porta degli occhiali, una lente rotta. Vengo risucchiato dall’intensità del suo sguardo, attraverso quella lente, direttamente dentro di lei. Viaggio rapido tra visioni di umiliazioni, di sofferenze, di orgoglio comunque intaccato. Credo che così tanta energia non m’attraversasse da tempo, da una notte di un tempo non lontano, tra sabbia, vento ed anime. Tutto è terra, fango, sporcizia, puzza. E gli uomini sorridono. I lavoratori, giovanissimi, girano per le zone loro assegnate con dei tricicli (biciclette a tre ruote con un grande cesto davanti dove raccolgono i rifiuti). Sono neri, di pelle, di fango e di polvere. Denti gialli che traspaiono dall’immancabile risata, a volte deviata dalla colla che tirano. I bambini. Questi giorni sono segnati anche dal pensiero al Libano, alla mattanza portata avanti tra la semi-indifferenza generale da Israele. Oggi marciamo sulla sede dell’ONU. I bambini! I bambini! “Il giornale” di oggi titolava “Gli Hezbollah fanno uccidere 37 bambini”, certa gente è senza vergogna. Come si fa ad abbattere un edificio pieno di bimbi? Ma più continuano più il loro karma scende, pagheranno tutto.Questa è stata anche la settimana in cui ho trovato casa. Nelle prossime settimane si libera un posto in una casa gialla, nella CentroAmerica, proprio l’area in cui vi dicevo mi sarebbe piaciuto stare. Vivrò con Roberto, un nica di ventotto anni già professore di informatica all’Università, e Lisy, belga qui per un anno come volontaria in una associazione che lavora con i bambini di strada. La casa è tipicamente nica, uno spazio unico in cui poi hanno ricavato delle stanze. La mia sarebbe la più grande, ma quello che importa sono i patii, il verde, il fatto che sia tutta dipinta di giallo, a cui aggiungerò solo dell’arancione per unire in colore la sacralità del bene. Si chiacchiera tra amici al ritmo lento della sedia a dondolo, accompagnati da musica rivoluzionaria nica e reggae (per mia fortuna anche Lisy è appassionata). Ci si saluta tra vicini, ci si muove a piedi, ci sono i ragazzi che graffitano i muri. Sono ad una quadra dalla casa di Elena, Leo e l’artista Emilio. E poi che bellezza ricevere come saluto “hola mi amor” dall’enorme signora della pulperia. Una volta trasferito sarò a mezzora a piedi dal lavoro, ma vista la pesantezza dei pasti non può che essere un bene per l’equilibrio biologico del mio corpo.Non sono poi riuscito a resistere e ieri sono tornato vicino Masaya, questa volta proprio alla laguna d’Apoyo. Un incanto, quel tipo d’incanto magico, che scuote, dà la pelle d’oca e inebetisce l’espressione del viso. Quell’incanto che conosco bene. Vista dall’alto già era bellissima, ma dal basso, da dentro, è semplicemente, meravigliosamente, sconcertante. Per raggiungerla ho fatto autostop con Lisy, due famiglie sorridenti ci hanno caricato nel retro dei loro pick up e via, vento in faccia come canta la banda bardò. Avevo intuito la bellezza del paesaggio già durante il viaggio, ma una volta scesi, salutati affettuosamente i benefattori, sono stato completamente circondato dal verde della boscaglia tropicale. Alberi d’un paio di metri di diametro, alti non so quanto, vegetazione varia e diversa, sole che batte e ombra che rigenera. La laguna, dall’acqua ancora miracolosamente vergine all’inquinamento, contiene numerose specie di pesci che si trovano solo qui, non in CentroAmerica, ma proprio solo qui. Ho mangiato manghi e pitaya, un frutto viola che sembra un carciofo ma è una manna dal cielo. Bagnarsi tra queste acque un onore, oltre che un rinfrescante piacere. Leggo della rivoluzione sandinista, chiacchiero con Lisy, vivo l’ennesima connessione con una persona a cui voglio bene, questa volta nella forma della tradizione afrocaraibica. Ormai da tempo ho smesso di domandarmi perché, accetto quello che accade, consapevole che un percorso è disegnato e io posso solo giocare di neretto. Raccolgo e regalo fiori viola alle signore che, dopo un po’ d’imbarazzo, mi sorridono felici, a differenza dei loro uomini che mi guardano piuttosto storto. Ma nessun machete compare, tutto è bene.

mercoledì 19 luglio 2006

19 Luglio

La città mi avvolge, caotica. Sono ricapultato nella dimensione urbana, lontano da cavalli, dal verde e dagli spazi, dai sorrisi. Quello che rimane è la celebrazione per l’indipendenza. Managua è addobbata con i colori del FSLN (frente sandinista liberacion nacional). Il tutto aspettando il 19, giorno in cui si raccolgono nella piazza principale moltitudini di ciudadanos y campesinos da tutto il Nicaragua per santificare il ritorno alla democrazia di questo paese. La vigilia sono uscito con Alex, l’autista di ACRA, nica piccolo e rotondo, timido e impacciato, lontano mille miglia dal machismo qui tanto comune. Mi ha portato a casa sua, il desiderio di “entrare” nelle case nica, si è così finalmente realizzato. Vive in una zona non particolarmente povera, e nemmeno eccessivamente pericolosa. Lui e la ragazza si arrangiano grazie al suo stipendio d’autista e vendendo varie cose, dalle scarpe alle sedie di plastica. Dice che non si sposano perché costa troppo. Parole simili a quelle dei giovani di casa nostra. Mi ha presentato un amico, studente di grafica. Vive in un barrio risultato delle politiche sulla casa portate avanti dai sandinisti. Si balla zuppi di pioggia sulle note del reggaeton sprigionate da un camion soundsystem! Il quartiere si chiama San Antonio, lui si chiama Karlo, da Marx. Questo ragazzo ha dei lineamenti unici, un incrocio tra un narcotrafficante ed un terrorista. E infatti mi racconta come spesso, quando esce, la polizia lo fermi, fatto che puntualmente si verifica quando, di fronte all’ennesimo controllo, dei cinque in macchina, finiscano per chiedere i documenti solo a lui. La cosa interessante è che mi ha spiegato buona parte della mitologia nica, soffermandosi in particolare sul ruolo del serpente, onnipresente. Incontro tante persone, nica e straniere, tra cui alcuni giovani con cui ho iniziato ad uscire. Il tutto circondati da sonorità tipiche, in un piazzale gremito per il concerto di uno dei cantautori che raccontano questo paese, la rivoluzione, la guerra e la povertà, l’amore e la crudeltà.Il giorno dell’indipendenza Managua è un circo. Le persone più disparate affollano le strade, le macchine cercano di infilarsi nei pochi spazi lasciati da una folla di anime attirata dalla celebrazione. Una volta raggiunta la piazza, ci sono spettacoli culturali, musica e comizi. Una volta immersi nella piazza si vivono in poche ore i vari gironi dell’inferno dantesco. Succede di tutto, cose belle e brutte, amicizia e danno. LatinoAmerica! Il candidato presidente questa volta arriva a cavallo, evviva il populismo.Riempio la giornata attraversando le persone.Tamburi per strada, scoppiettio di petardi, si festeggia la rivoluzione, oggi Managua è musica, è cuori che battono, che sbattono la porta ad un passato doloroso.Un po’ di finlandesi, MariaRosa la nicagnola (mezza nica e mezza spagnola) che fuma i porri e guida un maggiolone bianco, Alam, Roberto ed Emilio, attivisti e artisti. Lisy, ragazzina belga qui per un anno di volontariato che lavora per strada con i bimbi, che ama il reggae e con cui presto spero di poter vivere danze pregate, preghiere danzate.Questa settimana c’è stato il festival del cinema cubano. Una tre giorni di pellicole proiettate alla cinemateca nazionale, un cinema dalle poltrone in velluto rosso e i sedili di legno, con i ventilatori, i lampadari, un odore, che odore. Di ciò che ho visto quello che mi ha più entusiasmato è stato un documentario su Silvio Rodriguez, cantautore cubano della rivoluzione. Nel cinema tutti cantavano, soave, rispettosamente partecipi.Bello. Tante energie, tanta elettricità.Con Elena, filosofa femminista di Bolzano, ho iniziato a conoscere i luoghi di ritrovo della città. Ce n’è uno chiamato ArtCafè che ricorda molto un circolo Arci di periferia, semplice ma colmo di calore. Quasi ogni giorno c’è qualcosa, giovedì c’era una rassegna di poesia. La differenza rispetto a babilonia è che, affacciandosi fuori dal locale ci sono i bimbi che chiedono un cordoba e che in quelle strade ci vivono e dormono. Lì accanto c’è un teatro. Venerdì ho assistito ad una informalissima esibizione, musica cantautorale e Juan Cho, un figlio del comunismo. Mandato dalla Cina durante la rivoluzione sandinista per una collaborazione tra i due paesi, ci è rimasto. E’ alto un metro e mezzo, scrive poesie, commedie, sembra costantemente ubriaco, ma è semplicemente così. Alam mi ha detto: “Nico el chavallo no va bolo, si no medio loco, es asì” una macchietta, jenial! Sono riuscito a ballare le mie prime canzoni reggae! Nei locali qui è raro che lo passino. Quello che succede è che, quando succede, la pista si svuota e pochissimi eroi si cimentano. Ovviamente si fa amicizia; ne è uscito che ho conosciuto Fito, un ragazzo che lavora ad una radio e vive vendendo le magliette che fa. Quando ha un soldo va a farsi dei viaggi pazzi in giro per il paese. Forse ho trovato un compagno per la mia settimana di ferie. Stiamo pensando di proporre una serata reggae all’ArtCafè. Dal lato politico qui è strano, non si parla molto di ciò che sta succedendo nell’Oriente Medio. Il coordinatore di Movimondo ieri mi raccontava che era in skype con il loro espatriato lì mentre sentiva le bombe cadergli intorno. Come restare indifferenti di fronte a ciò? Con dei professori e alcune associazioni abbiamo organizzato un comitato pro-Libano, con l’obiettivo di far conoscere la peculiarità culturale del paese e organizzare una marcia verso l’ambasciata israeliana. Non ci sono molte persone attive, ma quelle che ci sono valgono per tanti: molti sono rivoluzionari, altri sinistroidi stranieri venuti qui negli anni ottanta. Fra l’altro, ho scoperto che il coordinatore della mia ong, un italiano qui proprio dal 1979 (anno della rivoluzione), non ha vissuto il tutto defilato in ufficio. Era con i sandinisti vestito da militare a combattere e a costruire strade. C’è questa foto in cui ha barba lunga, occhiali scuri, circondato da soldati. AH! E chi l’avrebbe detto.Sono stato a casa di Elena e ho deciso che cercherò casa da quelle parti quando tornerò in novembre. La zona è un barrio tranquillo, pieno di giovani, tutto è vicino, si può passeggiare. La loro casa è meravigliosa. Si sono trasferiti da poco, Emilio l’artista ha ancora tutti i suoi colori, semi e pietruzze sparse per l’ingresso. In ogni casa, a parte le stanze c’è sempre una sorta di ingresso dove c’è un materasso. In ogni casa. Questo perché c’è sempre qualche ospite. In ogni casa c’è del verde. In ogni casa c’è l’amaca, la musica, un topo ed il ron. Risate sguaiate, sudore.

domenica 16 luglio 2006

Estelí ed i Sandinisti

Fine settimana trascorso al Nord. Lontano da Managua, dal traffico, dal computer e da internet.Venerdì all’alba parto con gli impiegati di ACRA, destinazione Estelì, cittadina al Nord, non lontano dal confine con l’Honduras. Raggiungo due ragazze, Gaia e Sara, li da tempo per seguire un progetto di viviendas nei distretti più colpiti dall`uragano Mitch nel 1998. E` un progetto che è appena terminato con notevole successo visto il numero di case ricostruite (500), tempistiche e budget rispettati. La strada per Estelì è piuttosto buona, la cosa più interessante è il paesaggio che la natura ci offre. E’ un’ininterrotta distesa pianeggiante (la più grande pianura del centroamerica dove si coltivano tabacco e arachidi) circondata da montagne verdissime, per la stagione delle piogge in corso, uomini a cavallo con cappelli da cowboys e muli, machete al seguito utile ad aprire il cammino per il bestiame e perché no, a difendersi. Paesaggi che mi ricordano un periodo particolare dell’India, del mio viaggio difficile ma meraviglioso. Unica differenza, tra le montagne ci sono anche dei vulcani vivi. Un certo numero di vulcani vivi, bellissimi.Estelì si sviluppa come una persona può immaginarsi una cittadina centroamericana: divisa in quadre, “pulperie” ad ogni angolo (stanze di casa ricavate a bottega dove si vende un pò di tutto), macchine elaborate (cadamuro design con in più lucine intorno alla targa e fari che cambiano colore ... ), caballeros, ubriachi di ogni sorta e ad ogni ora, bimbi che ti chiedono un cordoba (moneta locale che vale 1/20 di e), ragazzine di dodici anni già adulte, e di quindici già mamme. Uomini che dividono i fagioli buoni da quelli meno, seduti sul ciglio della strada. Lenti, ma attenti. Cappello, jeans, stivale, ron. Negozi di selle.Dopo una mattinata passata a studiare il progetto sulla basura (immondizia) al quale lavorerò, siamo andati a pranzo in un rancho tipicissimo perso tra le montagne che costeggiano la città. Ci andiamo con una “camioneta”, quelle specie di jeep aperte dietro, molto americane, ma tutte giapponesi. Mi sono così potuto godere il paesaggio sentendolo realmente, vento in faccia e tra i capelli, odori e sapori. Nuova, inevitabile, connessione ai viaggi sui tetti dei bus indiani. Pranzo nel rancho dove cavalli e mucche pascolano, anche dentro il locale, e dove si parla di rivoluzione, di molotov e di non violenza. Del mio pensare legato alla rivoluzione non violenta, del pensare di Juriel, avvocato sandinista, legato alla rivoluzione, che identifica come violenta, perché solo in quel caso porta “esperanza”, perché ormai dice, anche i sandinisti sono solo politicanti. Si è figli di ciò che si è vissuto, di quello che ci è stato insegnato.Passo la serata con le ragazze e i ragazzi che hanno lavorato alla costruzione delle case. Persone dagli occhi dolci, iniettati d’alcool per la maggior parte del tempo, di massimo ventanni, con moglie, figlia, novia, querida e amiga con beneficios. Questo è l`ordine con cui si descrivono le amanti. D`altronde il machismo della società latinoamericana non si scopre certo oggi. D’altronde fa pensare. I ragazzi, piuttosto alticci, sono stati cordiali e amichevoli così che la serata è passata tra danze caraibiche, e canzoni rivoluzionarie. Il posto dove siamo stati è l’ambientazione di un film: luci di un neon ormai opaco, mura colorate ma ingiallite dal tempo e dal fritto, uomini, ovviamente nessuna donna, o meglio, una bellissima cameriera bambina. Tutti gli uomini stanno bolos (ubriachi in nica), sono seduti al tavolo a bere, ridono, scherzano, ballano e si menano. Ognuno con il machetino. Ad un certo punto m’ovatto dal tutto per vivermi sta scena: dall’entrata del posto vedo un taxi tirato da tre persone. Avanza lentissimo fino a posizionarsi visivamente in modo utile ad una comoda osservazione. La cosa magica è che tutti tentavano di spingere ma erano talmente sconnessi dalla realtà che non ce la facevano. Spingevano in direzioni opposte, cadevano, ridevano. Il tutto con le macchine che sfrecciavano a mezzo metro da loro. Per tutto il tempo in cui siamo stati li il taxi non sé mosso di un centimetro. Sarei stato curioso di tornare il mattino successivo, probabilmente li avrei trovati addormentati nello stesso punto. Il bere è, con la televisione, la loro valvola di sfogo. Un pò come da noi, ma in termini diversi. L’alcool è la loro droga, altro non c`è in giro, al massimo la colla per i bambini.Il giorno successivo partecipo con le ragazze all’ultimazione di un miniprogetto: si tratta di fornire alcune famiglie di 9 galline ed un gallo. L’idea è che vendano le uova e con il ricavato comprino il latte per la famiglia nonché il mangime per le galline stesse. Abbiamo fatto questo viaggio in camionetta sotto un sole cocente per recuperarle: un sole caldo ma che scotta. Di ritorno infatti rimbambimento generale. Pranzo a base di riso, fagioli e formaggio (qui si mangiano a colazione, pranzo e cena tutti i santi giorni). Sulla strada di ritorno , nel mezzo del nulla, un bimbo dormiva orizzontale sul ciglio della strada, solo. Spero stesse dormendo. Abbiamo portato le galline ai neoproprietari. Qui è successo qualcosa che non m’aspettavo, o almeno non in queste dimensioni. Da parte dei beneficiari la reazione è stata d’indifferenza: mi sono fatto spiegare dalle ragazze e, ciò che emerge, è che in Nicaragua, dal 1990, in avanti (anno della caduta dei sandinisti) sono arrivati e continuano ad arrivare numerosissimi progetti. Ciò ha provocato una non reazione nel pensiero della gente, che risulta essere fondamentalmente passiva. Se riceve qualcosa bene, se no chiede semplicemente quando sarà il prossimo progetto. Tutto è dato per scontato. O tutto è diffidenza. Questo rappresenta un problema di fondo che dovrebbe mettere in discussione le basi dell’azione stessa.La consegna delle galline m’ha fatto conoscere un pò meglio i barri dove s`è intervenuto. Anche qui delle scene curiose: una casa di legno con nulla all’interno ma tre televisori, tutti accesi; uomini che bazzicano con macheti, donne che badano a quattro cinque figli, un vecchio seduto in un giardino spoglio ma addobbato di due poltrone zebratissime (quindi tonalità marroni e grigie e l’uomo seduto su questa esplosione di bianco). Bellissimo. Riusciamo anche ad impaltanarci nonostante quattro ruote motrici. Nei nostri tentativi siamo aiutati da alcuni locali, mentre un attento pubblico di cani randagi e donne preoccupate che il fango finisca nel loro giardino segue con attenzione le nostre rocambolesche evoluzioni. Stanchi dalla giornata ce ne torniamo a casa: c’accoglie Don Marciano, in italiano il signor Marziano. Uomo forse sulla sessantina con una pancia enorme da fagioli riso e birra, come per altro tutti gli uomini dai trent’anni in su. Uomo che nonostante l’età ha un certo numero d`amanti. Uomo che si sta alfabetizzando grazie ad un progetto promosso da sandinisti e finanziato da Cuba. I ragazzini di quindici anni vanno per le case dei vicini ad insegnar loro a leggere e scrivere. Quindi il professore ragazzino insegna a don marziano a scrivere. Molto bello. Parte del tempo finiscono a giocare a carte e a discutere di politica, ma è parte del tutto. Crescita reciproca. Decido d’uscire perchè è la vigilia dell’anniversario della liberazione d’esteli dalla dittatura samoziana. I sandinisti già celebrano dal giorno prima, la piazza è piena. Qui sì rappresenta ancora il centro d`aggregazione; sempre piena giorno e notte. Interagisco con un uomo che crede nel potere della coscienza, allietato da musica tradizionale e rivoluzionaria. Questa persona con cui ho chiacchierato, sposato e separato con due figli, si percepisce proprio quanto sia stato educato durante la rivoluzione. Vocabolario tipico.. imperialisti, colonialisti, assassini impuniti etc etc. Devo raccontarvi però che nei suoi occhi c’era una luce, quella che lui chiama coscienza, e che identifica nel partito, quella che io chiamerei energia data dalla forza della lucha. L’unica loro speranza, a suo parere. Certo è che da queste parti l’idea conta e molto. Ha chiamato suo figlio Gabriel Ernesto (per garcia marquez e guevara, “perchè voglio che lotti ma lo faccia sapendo le cose, ed il suo nome è la prima fonte di conoscenza che gli offro”).La canzone scritta per il candidato delle prossime presidenziali è a base reggaeton. Parole rivoluzionarie su base reggaeton. Segno dei tempi. La serata è interrotta solo dalla inevitabile rissa: un ragazzo, che non arrivava a quindici anni, cercava di prendere a cinturate chiunque gli fosse intorno. Solo un esempio. E`che proprio bevono fino a svenire, solo che, prima di ciò, sfogano violenza in modi e maniere differenti.Arriva il giorno della parata. Mi svegliano i botti, usati in quantità, che annunciano il giorno della memoria. Tutta Estelì ed i paesi vicini riempiono una piazza enorme, ma tutto il paese è addobbato. La dittatura che ha segnato il paese è stata una delle peggiori di tutto il LatinoAmerica, gente scomparsa, esecuzioni sommarie, giovani gettati dagli aerei perchè in quanto giovani sicuramente rivoluzionari, stupri e via di seguito. Normale, logico e sacrosanto che celebrino. La gente arriva a piedi, a cavallo o in macchina: predominano rosso e nero, colore dei sandinisti, le bandiere riempiono le strade, scaldano il cuore. Un orchestra suona per un numero indefinito di ore canzoni rivoluzionarie. All’arrivo del comandante Daniel, candidato sandinista alle presidenziali, che ha fatto la rivoluzione e che qui se amato è praticamente venerato, ma se è odiato è veramente odiato, la piazza si accende ancor più; parte la canzone officiale della rivoluzione ed è un boato inaudito di voci, donne bambini vecchi senza denti, tutti cantano, ballano, s’affannano. Iniziano numerose canzoni, “el pueblo unido jamas serà vencido” cantata in questo contesto ha una forza esplosiva.Adrenalina, personalmente pelle d’oca e sensazione di vivere la storia. Una partecipazione totale, fisica e mentale. Quello stadio è stato per un certo tempo un essere che viveva di vita propria, un solo respiro, alimentandosi dell’energia della gente.Circondato da cavalli, con uomini che gridano“w i contadini, vogliamo pane, medicine. Mai liberali, mai conservatori”.Stringono il pugno. La gente qui lotta. La lucha è viva.“Sandino vive la lucha sigue”.Un cavallo bianco bellissimo, convinzione di cavalcarlo verso il bene, chissà.Non so quante ore sono stato immerso in quello stadio piazza. Non so quante persone m’han chiesto come va la lotta contadina in Italia, i giovani universitari mi chiedevano se il governo d’adesso italiano porterà al comunismo. Spiegagli che in Italia tra destra e sinistra non cambia nulla. Che il più grande partito della sinistra vota per le missioni di guerra. Dura. Però tante parole, tanti sorrisi, tanti volti semplici e nobili. Si festeggia tutta notte, quelli che rimangono in piedi almeno. Lascio lo stadio con un fuoco dentro.La manifestazione mi ha scombussolato il ventre.La lucha va, la lucha sigue, certo non violenta per me. Ma mi ha dato tanta carica, questo si.Pullman all’alba per Managua, un geko mi fa compagnia nelle due ore di viaggio in piedi verso la capitale. Saluto Estelì, forse ci tornerò, forse no.Sicuramente Mercoledì, festa nazionale della liberazione, andrò in piazza.

lunedì 10 luglio 2006

Managua, pianeta centramerica

Mattino. Apro gli occhi destato da cinguettii, sono pappagalli. interrompono sogni certo non piacevoli, di lontananze. non c'è disorientamento, forse per la capacità di sviluppare il "sentire casa" facilmente, o forse proprio per la difficoltà di provare tale sensazione. Altarini di attimi indimenticabili sono il primo oggetto del mio sguardo. Strette ad un cuore in via di definizione. Riesco già a chiudermi fuori dalla stanza.. grazie a Dio Ezechiel... mai nome fu più adatto... l'uomo assunto dalla ong per vigilare sulla nostra sicurezza e che passa la giornata maneggiando un pugnale che è quasi un machete, e che ha i denti curati con filamenti d'oro e balla il reggaeton, mi smonta mezza finestra e in un modo o nell'altro rientro in camera, riappropriandomi di chiavi e similaris.Preparo il caffè chiacchierando con lui, mi spiega la tv nica e un pò gli affari di governo. pensa che tutti i capi di governo cerchino solo di arricchire sé e chi sta loro intorno.... e come dargli torto... E ora qui a scrivere, questa mattina ho incontrato Juan Antonio, italiano che è qui da 27 anni, che ha sposato una nica e ha 3 figli. una via di mezzo tra un sandinista, un terrorista e un trafficante colombiano. se non fosse che è italiano, ma che ha un accento nica da paura. un personaggio che deve averne viste veramente tante. Nel mio eterno viaggio verso qui ho incontrato alcune persone peculiari: Amedeo, psicologo cinquantenne spagnolo, che ha girato il mondo fermandosi cinque anni in india e altrettanti in Israele. Psicologo sensibile ma attento, stimolato da quello sarà il mio mestiere, che mi sottolinea l`importanza di incontrare una persona che ti capisca, una donna con la quale ci sia reciproca comprensione e complicità. Nelle 20 ore trascorse all’aeroporto di St.Josè, tra caffè pisoli e musica, sono allietato dalla presenza di un pittore che dipinge paesaggi, pappagalli e dame. Il viaggio dal Costa Rica a Managua avviene con un aereo che non vi dico, 20 posti a sedere. Viaggio con Adriana, nica, mamma di 3 bimbi, sposata con un italiano che per lavoro gira il mondo ( non c`è stato modo di capire facendo cosa…) . Così un suo bimbo ha nazionalità peruviana, uno filippina e l`ultimo italiana. E ora se ne vanno tre anni alle Mauritius. Tornava qui per visitare sua madre, malata, che pare sia una rivoluzionaria sandinista che ora lavora per una fondazione nica-svedese. Ho l’indirizzo della madre, che sta ad Estelì, al nord, dove peraltro ACRA lavora, facile dunque che finisca per visitarla.Il paesaggio è verdissimo, interrotto solo dai laghi, altrettanto belli ma contaminatissimi.Sono stato a fare spese, frutta verdura e così via con Roberto, italiano di cinquant’anni in nica per ritrovare se stesso. Non è affatto stupido. Dice che c`è tanta povertà ma rispetto a Brasile e Cuba manca l’inventiva. Mi ha mostrato la babilonia nicaraguense, centri commerciali e supermercati, non vedo l’ora di incontrare il mercato locale dove tutto costa poco ed è decisamente più genuino, senza pesticidi insomma. Per il momento ho mangiato pasta al pesto. Spero con domani di iniziare a conoscere la comida nica.. per altro riso e fagioli per me, visto che la carne non la mangio.Da lunedì si inizierà a parlare di lavoro, tempi dilatati ovviamente.Pare ci sia un locale dove fanno musica atlantica, come mi ha detto Roberto per definire il reggae o similaris ballato ad est. Qui invece tutti, ma tutti ballano il reggaeton.. se non sapete così scaricatevi qualcosa e ascoltate i testi.