mercoledì 19 luglio 2006

19 Luglio

La città mi avvolge, caotica. Sono ricapultato nella dimensione urbana, lontano da cavalli, dal verde e dagli spazi, dai sorrisi. Quello che rimane è la celebrazione per l’indipendenza. Managua è addobbata con i colori del FSLN (frente sandinista liberacion nacional). Il tutto aspettando il 19, giorno in cui si raccolgono nella piazza principale moltitudini di ciudadanos y campesinos da tutto il Nicaragua per santificare il ritorno alla democrazia di questo paese. La vigilia sono uscito con Alex, l’autista di ACRA, nica piccolo e rotondo, timido e impacciato, lontano mille miglia dal machismo qui tanto comune. Mi ha portato a casa sua, il desiderio di “entrare” nelle case nica, si è così finalmente realizzato. Vive in una zona non particolarmente povera, e nemmeno eccessivamente pericolosa. Lui e la ragazza si arrangiano grazie al suo stipendio d’autista e vendendo varie cose, dalle scarpe alle sedie di plastica. Dice che non si sposano perché costa troppo. Parole simili a quelle dei giovani di casa nostra. Mi ha presentato un amico, studente di grafica. Vive in un barrio risultato delle politiche sulla casa portate avanti dai sandinisti. Si balla zuppi di pioggia sulle note del reggaeton sprigionate da un camion soundsystem! Il quartiere si chiama San Antonio, lui si chiama Karlo, da Marx. Questo ragazzo ha dei lineamenti unici, un incrocio tra un narcotrafficante ed un terrorista. E infatti mi racconta come spesso, quando esce, la polizia lo fermi, fatto che puntualmente si verifica quando, di fronte all’ennesimo controllo, dei cinque in macchina, finiscano per chiedere i documenti solo a lui. La cosa interessante è che mi ha spiegato buona parte della mitologia nica, soffermandosi in particolare sul ruolo del serpente, onnipresente. Incontro tante persone, nica e straniere, tra cui alcuni giovani con cui ho iniziato ad uscire. Il tutto circondati da sonorità tipiche, in un piazzale gremito per il concerto di uno dei cantautori che raccontano questo paese, la rivoluzione, la guerra e la povertà, l’amore e la crudeltà.Il giorno dell’indipendenza Managua è un circo. Le persone più disparate affollano le strade, le macchine cercano di infilarsi nei pochi spazi lasciati da una folla di anime attirata dalla celebrazione. Una volta raggiunta la piazza, ci sono spettacoli culturali, musica e comizi. Una volta immersi nella piazza si vivono in poche ore i vari gironi dell’inferno dantesco. Succede di tutto, cose belle e brutte, amicizia e danno. LatinoAmerica! Il candidato presidente questa volta arriva a cavallo, evviva il populismo.Riempio la giornata attraversando le persone.Tamburi per strada, scoppiettio di petardi, si festeggia la rivoluzione, oggi Managua è musica, è cuori che battono, che sbattono la porta ad un passato doloroso.Un po’ di finlandesi, MariaRosa la nicagnola (mezza nica e mezza spagnola) che fuma i porri e guida un maggiolone bianco, Alam, Roberto ed Emilio, attivisti e artisti. Lisy, ragazzina belga qui per un anno di volontariato che lavora per strada con i bimbi, che ama il reggae e con cui presto spero di poter vivere danze pregate, preghiere danzate.Questa settimana c’è stato il festival del cinema cubano. Una tre giorni di pellicole proiettate alla cinemateca nazionale, un cinema dalle poltrone in velluto rosso e i sedili di legno, con i ventilatori, i lampadari, un odore, che odore. Di ciò che ho visto quello che mi ha più entusiasmato è stato un documentario su Silvio Rodriguez, cantautore cubano della rivoluzione. Nel cinema tutti cantavano, soave, rispettosamente partecipi.Bello. Tante energie, tanta elettricità.Con Elena, filosofa femminista di Bolzano, ho iniziato a conoscere i luoghi di ritrovo della città. Ce n’è uno chiamato ArtCafè che ricorda molto un circolo Arci di periferia, semplice ma colmo di calore. Quasi ogni giorno c’è qualcosa, giovedì c’era una rassegna di poesia. La differenza rispetto a babilonia è che, affacciandosi fuori dal locale ci sono i bimbi che chiedono un cordoba e che in quelle strade ci vivono e dormono. Lì accanto c’è un teatro. Venerdì ho assistito ad una informalissima esibizione, musica cantautorale e Juan Cho, un figlio del comunismo. Mandato dalla Cina durante la rivoluzione sandinista per una collaborazione tra i due paesi, ci è rimasto. E’ alto un metro e mezzo, scrive poesie, commedie, sembra costantemente ubriaco, ma è semplicemente così. Alam mi ha detto: “Nico el chavallo no va bolo, si no medio loco, es asì” una macchietta, jenial! Sono riuscito a ballare le mie prime canzoni reggae! Nei locali qui è raro che lo passino. Quello che succede è che, quando succede, la pista si svuota e pochissimi eroi si cimentano. Ovviamente si fa amicizia; ne è uscito che ho conosciuto Fito, un ragazzo che lavora ad una radio e vive vendendo le magliette che fa. Quando ha un soldo va a farsi dei viaggi pazzi in giro per il paese. Forse ho trovato un compagno per la mia settimana di ferie. Stiamo pensando di proporre una serata reggae all’ArtCafè. Dal lato politico qui è strano, non si parla molto di ciò che sta succedendo nell’Oriente Medio. Il coordinatore di Movimondo ieri mi raccontava che era in skype con il loro espatriato lì mentre sentiva le bombe cadergli intorno. Come restare indifferenti di fronte a ciò? Con dei professori e alcune associazioni abbiamo organizzato un comitato pro-Libano, con l’obiettivo di far conoscere la peculiarità culturale del paese e organizzare una marcia verso l’ambasciata israeliana. Non ci sono molte persone attive, ma quelle che ci sono valgono per tanti: molti sono rivoluzionari, altri sinistroidi stranieri venuti qui negli anni ottanta. Fra l’altro, ho scoperto che il coordinatore della mia ong, un italiano qui proprio dal 1979 (anno della rivoluzione), non ha vissuto il tutto defilato in ufficio. Era con i sandinisti vestito da militare a combattere e a costruire strade. C’è questa foto in cui ha barba lunga, occhiali scuri, circondato da soldati. AH! E chi l’avrebbe detto.Sono stato a casa di Elena e ho deciso che cercherò casa da quelle parti quando tornerò in novembre. La zona è un barrio tranquillo, pieno di giovani, tutto è vicino, si può passeggiare. La loro casa è meravigliosa. Si sono trasferiti da poco, Emilio l’artista ha ancora tutti i suoi colori, semi e pietruzze sparse per l’ingresso. In ogni casa, a parte le stanze c’è sempre una sorta di ingresso dove c’è un materasso. In ogni casa. Questo perché c’è sempre qualche ospite. In ogni casa c’è del verde. In ogni casa c’è l’amaca, la musica, un topo ed il ron. Risate sguaiate, sudore.

domenica 16 luglio 2006

Estelí ed i Sandinisti

Fine settimana trascorso al Nord. Lontano da Managua, dal traffico, dal computer e da internet.Venerdì all’alba parto con gli impiegati di ACRA, destinazione Estelì, cittadina al Nord, non lontano dal confine con l’Honduras. Raggiungo due ragazze, Gaia e Sara, li da tempo per seguire un progetto di viviendas nei distretti più colpiti dall`uragano Mitch nel 1998. E` un progetto che è appena terminato con notevole successo visto il numero di case ricostruite (500), tempistiche e budget rispettati. La strada per Estelì è piuttosto buona, la cosa più interessante è il paesaggio che la natura ci offre. E’ un’ininterrotta distesa pianeggiante (la più grande pianura del centroamerica dove si coltivano tabacco e arachidi) circondata da montagne verdissime, per la stagione delle piogge in corso, uomini a cavallo con cappelli da cowboys e muli, machete al seguito utile ad aprire il cammino per il bestiame e perché no, a difendersi. Paesaggi che mi ricordano un periodo particolare dell’India, del mio viaggio difficile ma meraviglioso. Unica differenza, tra le montagne ci sono anche dei vulcani vivi. Un certo numero di vulcani vivi, bellissimi.Estelì si sviluppa come una persona può immaginarsi una cittadina centroamericana: divisa in quadre, “pulperie” ad ogni angolo (stanze di casa ricavate a bottega dove si vende un pò di tutto), macchine elaborate (cadamuro design con in più lucine intorno alla targa e fari che cambiano colore ... ), caballeros, ubriachi di ogni sorta e ad ogni ora, bimbi che ti chiedono un cordoba (moneta locale che vale 1/20 di e), ragazzine di dodici anni già adulte, e di quindici già mamme. Uomini che dividono i fagioli buoni da quelli meno, seduti sul ciglio della strada. Lenti, ma attenti. Cappello, jeans, stivale, ron. Negozi di selle.Dopo una mattinata passata a studiare il progetto sulla basura (immondizia) al quale lavorerò, siamo andati a pranzo in un rancho tipicissimo perso tra le montagne che costeggiano la città. Ci andiamo con una “camioneta”, quelle specie di jeep aperte dietro, molto americane, ma tutte giapponesi. Mi sono così potuto godere il paesaggio sentendolo realmente, vento in faccia e tra i capelli, odori e sapori. Nuova, inevitabile, connessione ai viaggi sui tetti dei bus indiani. Pranzo nel rancho dove cavalli e mucche pascolano, anche dentro il locale, e dove si parla di rivoluzione, di molotov e di non violenza. Del mio pensare legato alla rivoluzione non violenta, del pensare di Juriel, avvocato sandinista, legato alla rivoluzione, che identifica come violenta, perché solo in quel caso porta “esperanza”, perché ormai dice, anche i sandinisti sono solo politicanti. Si è figli di ciò che si è vissuto, di quello che ci è stato insegnato.Passo la serata con le ragazze e i ragazzi che hanno lavorato alla costruzione delle case. Persone dagli occhi dolci, iniettati d’alcool per la maggior parte del tempo, di massimo ventanni, con moglie, figlia, novia, querida e amiga con beneficios. Questo è l`ordine con cui si descrivono le amanti. D`altronde il machismo della società latinoamericana non si scopre certo oggi. D’altronde fa pensare. I ragazzi, piuttosto alticci, sono stati cordiali e amichevoli così che la serata è passata tra danze caraibiche, e canzoni rivoluzionarie. Il posto dove siamo stati è l’ambientazione di un film: luci di un neon ormai opaco, mura colorate ma ingiallite dal tempo e dal fritto, uomini, ovviamente nessuna donna, o meglio, una bellissima cameriera bambina. Tutti gli uomini stanno bolos (ubriachi in nica), sono seduti al tavolo a bere, ridono, scherzano, ballano e si menano. Ognuno con il machetino. Ad un certo punto m’ovatto dal tutto per vivermi sta scena: dall’entrata del posto vedo un taxi tirato da tre persone. Avanza lentissimo fino a posizionarsi visivamente in modo utile ad una comoda osservazione. La cosa magica è che tutti tentavano di spingere ma erano talmente sconnessi dalla realtà che non ce la facevano. Spingevano in direzioni opposte, cadevano, ridevano. Il tutto con le macchine che sfrecciavano a mezzo metro da loro. Per tutto il tempo in cui siamo stati li il taxi non sé mosso di un centimetro. Sarei stato curioso di tornare il mattino successivo, probabilmente li avrei trovati addormentati nello stesso punto. Il bere è, con la televisione, la loro valvola di sfogo. Un pò come da noi, ma in termini diversi. L’alcool è la loro droga, altro non c`è in giro, al massimo la colla per i bambini.Il giorno successivo partecipo con le ragazze all’ultimazione di un miniprogetto: si tratta di fornire alcune famiglie di 9 galline ed un gallo. L’idea è che vendano le uova e con il ricavato comprino il latte per la famiglia nonché il mangime per le galline stesse. Abbiamo fatto questo viaggio in camionetta sotto un sole cocente per recuperarle: un sole caldo ma che scotta. Di ritorno infatti rimbambimento generale. Pranzo a base di riso, fagioli e formaggio (qui si mangiano a colazione, pranzo e cena tutti i santi giorni). Sulla strada di ritorno , nel mezzo del nulla, un bimbo dormiva orizzontale sul ciglio della strada, solo. Spero stesse dormendo. Abbiamo portato le galline ai neoproprietari. Qui è successo qualcosa che non m’aspettavo, o almeno non in queste dimensioni. Da parte dei beneficiari la reazione è stata d’indifferenza: mi sono fatto spiegare dalle ragazze e, ciò che emerge, è che in Nicaragua, dal 1990, in avanti (anno della caduta dei sandinisti) sono arrivati e continuano ad arrivare numerosissimi progetti. Ciò ha provocato una non reazione nel pensiero della gente, che risulta essere fondamentalmente passiva. Se riceve qualcosa bene, se no chiede semplicemente quando sarà il prossimo progetto. Tutto è dato per scontato. O tutto è diffidenza. Questo rappresenta un problema di fondo che dovrebbe mettere in discussione le basi dell’azione stessa.La consegna delle galline m’ha fatto conoscere un pò meglio i barri dove s`è intervenuto. Anche qui delle scene curiose: una casa di legno con nulla all’interno ma tre televisori, tutti accesi; uomini che bazzicano con macheti, donne che badano a quattro cinque figli, un vecchio seduto in un giardino spoglio ma addobbato di due poltrone zebratissime (quindi tonalità marroni e grigie e l’uomo seduto su questa esplosione di bianco). Bellissimo. Riusciamo anche ad impaltanarci nonostante quattro ruote motrici. Nei nostri tentativi siamo aiutati da alcuni locali, mentre un attento pubblico di cani randagi e donne preoccupate che il fango finisca nel loro giardino segue con attenzione le nostre rocambolesche evoluzioni. Stanchi dalla giornata ce ne torniamo a casa: c’accoglie Don Marciano, in italiano il signor Marziano. Uomo forse sulla sessantina con una pancia enorme da fagioli riso e birra, come per altro tutti gli uomini dai trent’anni in su. Uomo che nonostante l’età ha un certo numero d`amanti. Uomo che si sta alfabetizzando grazie ad un progetto promosso da sandinisti e finanziato da Cuba. I ragazzini di quindici anni vanno per le case dei vicini ad insegnar loro a leggere e scrivere. Quindi il professore ragazzino insegna a don marziano a scrivere. Molto bello. Parte del tempo finiscono a giocare a carte e a discutere di politica, ma è parte del tutto. Crescita reciproca. Decido d’uscire perchè è la vigilia dell’anniversario della liberazione d’esteli dalla dittatura samoziana. I sandinisti già celebrano dal giorno prima, la piazza è piena. Qui sì rappresenta ancora il centro d`aggregazione; sempre piena giorno e notte. Interagisco con un uomo che crede nel potere della coscienza, allietato da musica tradizionale e rivoluzionaria. Questa persona con cui ho chiacchierato, sposato e separato con due figli, si percepisce proprio quanto sia stato educato durante la rivoluzione. Vocabolario tipico.. imperialisti, colonialisti, assassini impuniti etc etc. Devo raccontarvi però che nei suoi occhi c’era una luce, quella che lui chiama coscienza, e che identifica nel partito, quella che io chiamerei energia data dalla forza della lucha. L’unica loro speranza, a suo parere. Certo è che da queste parti l’idea conta e molto. Ha chiamato suo figlio Gabriel Ernesto (per garcia marquez e guevara, “perchè voglio che lotti ma lo faccia sapendo le cose, ed il suo nome è la prima fonte di conoscenza che gli offro”).La canzone scritta per il candidato delle prossime presidenziali è a base reggaeton. Parole rivoluzionarie su base reggaeton. Segno dei tempi. La serata è interrotta solo dalla inevitabile rissa: un ragazzo, che non arrivava a quindici anni, cercava di prendere a cinturate chiunque gli fosse intorno. Solo un esempio. E`che proprio bevono fino a svenire, solo che, prima di ciò, sfogano violenza in modi e maniere differenti.Arriva il giorno della parata. Mi svegliano i botti, usati in quantità, che annunciano il giorno della memoria. Tutta Estelì ed i paesi vicini riempiono una piazza enorme, ma tutto il paese è addobbato. La dittatura che ha segnato il paese è stata una delle peggiori di tutto il LatinoAmerica, gente scomparsa, esecuzioni sommarie, giovani gettati dagli aerei perchè in quanto giovani sicuramente rivoluzionari, stupri e via di seguito. Normale, logico e sacrosanto che celebrino. La gente arriva a piedi, a cavallo o in macchina: predominano rosso e nero, colore dei sandinisti, le bandiere riempiono le strade, scaldano il cuore. Un orchestra suona per un numero indefinito di ore canzoni rivoluzionarie. All’arrivo del comandante Daniel, candidato sandinista alle presidenziali, che ha fatto la rivoluzione e che qui se amato è praticamente venerato, ma se è odiato è veramente odiato, la piazza si accende ancor più; parte la canzone officiale della rivoluzione ed è un boato inaudito di voci, donne bambini vecchi senza denti, tutti cantano, ballano, s’affannano. Iniziano numerose canzoni, “el pueblo unido jamas serà vencido” cantata in questo contesto ha una forza esplosiva.Adrenalina, personalmente pelle d’oca e sensazione di vivere la storia. Una partecipazione totale, fisica e mentale. Quello stadio è stato per un certo tempo un essere che viveva di vita propria, un solo respiro, alimentandosi dell’energia della gente.Circondato da cavalli, con uomini che gridano“w i contadini, vogliamo pane, medicine. Mai liberali, mai conservatori”.Stringono il pugno. La gente qui lotta. La lucha è viva.“Sandino vive la lucha sigue”.Un cavallo bianco bellissimo, convinzione di cavalcarlo verso il bene, chissà.Non so quante ore sono stato immerso in quello stadio piazza. Non so quante persone m’han chiesto come va la lotta contadina in Italia, i giovani universitari mi chiedevano se il governo d’adesso italiano porterà al comunismo. Spiegagli che in Italia tra destra e sinistra non cambia nulla. Che il più grande partito della sinistra vota per le missioni di guerra. Dura. Però tante parole, tanti sorrisi, tanti volti semplici e nobili. Si festeggia tutta notte, quelli che rimangono in piedi almeno. Lascio lo stadio con un fuoco dentro.La manifestazione mi ha scombussolato il ventre.La lucha va, la lucha sigue, certo non violenta per me. Ma mi ha dato tanta carica, questo si.Pullman all’alba per Managua, un geko mi fa compagnia nelle due ore di viaggio in piedi verso la capitale. Saluto Estelì, forse ci tornerò, forse no.Sicuramente Mercoledì, festa nazionale della liberazione, andrò in piazza.

lunedì 10 luglio 2006

Managua, pianeta centramerica

Mattino. Apro gli occhi destato da cinguettii, sono pappagalli. interrompono sogni certo non piacevoli, di lontananze. non c'è disorientamento, forse per la capacità di sviluppare il "sentire casa" facilmente, o forse proprio per la difficoltà di provare tale sensazione. Altarini di attimi indimenticabili sono il primo oggetto del mio sguardo. Strette ad un cuore in via di definizione. Riesco già a chiudermi fuori dalla stanza.. grazie a Dio Ezechiel... mai nome fu più adatto... l'uomo assunto dalla ong per vigilare sulla nostra sicurezza e che passa la giornata maneggiando un pugnale che è quasi un machete, e che ha i denti curati con filamenti d'oro e balla il reggaeton, mi smonta mezza finestra e in un modo o nell'altro rientro in camera, riappropriandomi di chiavi e similaris.Preparo il caffè chiacchierando con lui, mi spiega la tv nica e un pò gli affari di governo. pensa che tutti i capi di governo cerchino solo di arricchire sé e chi sta loro intorno.... e come dargli torto... E ora qui a scrivere, questa mattina ho incontrato Juan Antonio, italiano che è qui da 27 anni, che ha sposato una nica e ha 3 figli. una via di mezzo tra un sandinista, un terrorista e un trafficante colombiano. se non fosse che è italiano, ma che ha un accento nica da paura. un personaggio che deve averne viste veramente tante. Nel mio eterno viaggio verso qui ho incontrato alcune persone peculiari: Amedeo, psicologo cinquantenne spagnolo, che ha girato il mondo fermandosi cinque anni in india e altrettanti in Israele. Psicologo sensibile ma attento, stimolato da quello sarà il mio mestiere, che mi sottolinea l`importanza di incontrare una persona che ti capisca, una donna con la quale ci sia reciproca comprensione e complicità. Nelle 20 ore trascorse all’aeroporto di St.Josè, tra caffè pisoli e musica, sono allietato dalla presenza di un pittore che dipinge paesaggi, pappagalli e dame. Il viaggio dal Costa Rica a Managua avviene con un aereo che non vi dico, 20 posti a sedere. Viaggio con Adriana, nica, mamma di 3 bimbi, sposata con un italiano che per lavoro gira il mondo ( non c`è stato modo di capire facendo cosa…) . Così un suo bimbo ha nazionalità peruviana, uno filippina e l`ultimo italiana. E ora se ne vanno tre anni alle Mauritius. Tornava qui per visitare sua madre, malata, che pare sia una rivoluzionaria sandinista che ora lavora per una fondazione nica-svedese. Ho l’indirizzo della madre, che sta ad Estelì, al nord, dove peraltro ACRA lavora, facile dunque che finisca per visitarla.Il paesaggio è verdissimo, interrotto solo dai laghi, altrettanto belli ma contaminatissimi.Sono stato a fare spese, frutta verdura e così via con Roberto, italiano di cinquant’anni in nica per ritrovare se stesso. Non è affatto stupido. Dice che c`è tanta povertà ma rispetto a Brasile e Cuba manca l’inventiva. Mi ha mostrato la babilonia nicaraguense, centri commerciali e supermercati, non vedo l’ora di incontrare il mercato locale dove tutto costa poco ed è decisamente più genuino, senza pesticidi insomma. Per il momento ho mangiato pasta al pesto. Spero con domani di iniziare a conoscere la comida nica.. per altro riso e fagioli per me, visto che la carne non la mangio.Da lunedì si inizierà a parlare di lavoro, tempi dilatati ovviamente.Pare ci sia un locale dove fanno musica atlantica, come mi ha detto Roberto per definire il reggae o similaris ballato ad est. Qui invece tutti, ma tutti ballano il reggaeton.. se non sapete così scaricatevi qualcosa e ascoltate i testi.