mercoledì 28 gennaio 2009

COLOMBIA II

Le isole del Rosario, e uno pensa subito alle serate di Maggio passate da bimbo nel garage della vicina Maria, a recitare litanie e salmi alla Madonna. Poi succede che contestualizzando, pur incontrandomi probabilmente nel paese piú cattolico del mondo, (nel bene, nel male e nella facciata) apro gli occhi e sono in una barchetta di legno a motore che da Cartagena vola verso queste isole. La barchetta non naviga, vola, perchè con regolarità decolla a piú d’un metro in altezza per poi atterrare pesantemente sul mare sempre agitato, forte, padrone del suo spazio.
Prima di arrivare alle isole del Rosario, passiamo per Barù facendoci fregare abbondantemente da uno dei pochi colombiani approfittatori che abbiamo incontrato. Si arriva alla isola ed il tipo, belloccio come molti neri, pieno di collanacce e telefonini ci assicura farci il favore di portarci alla spiaggia degli innamorati, precisando che la chiamano anche spiaggia dei morti (!?!). Più tardi si scopre che la chiamano degli innamorati perchè è tranquilla e bellissima, e dei morti perchè nel sottosuolo c’è un cimitero degli indigeni del luogo, con tutte le energie pesanti che questo comporta.
Alla spiaggietta s’arriva tipo Isola dei Famosi, scendendo dall’ennesimo barchino di legno e nuotando zaino sopra la testa fino alla spiaggia. All’arrivo invece di mille telecamere, milioni di insetti di tutti i tipi. Chissà se gli insetti ci riprendono e ridono della stramberia dell’uomo. L’accordo è che il simpaticone venga a riprenderci la mattina successiva alle sei, cosa che non succederà, mai.
Ad accoglierci nella spiaggia degli innamorati morti, c’è una di quelle famiglie ricche ed alternative colombiane che per le loro vacanze affittano sicurezza, cuoca e logista e se li portano nella spiaggia perchè loro possano passare un mese senza muovere un dito per necessità. Si genera lavoro e si mantiene disparità, dibattiti sempre aperti sulla povertà sostenibile che piace all’opinione pubblica.
Il contesto, tipicamente caraibico, con alcune aggiunte niente male: la canoa di isolani che passa a velocità d’uomo dicendo benvenuti in paradiso, uno dei lavoratori dei ricconi che c’accompagna a comprare viveri a basso costo in una passeggiata che attraversa un bosco di mangrovie che ci fa sbucare al villaggio della gente di li, semplice e gioviale. Avete presente le mangrovie? A me m’hanno sorpreso un sacco, degne rappresentanti della forza della natura, boschi che nascono dall’acqua. Allucinante.
Non è stato facile dimenticare gli insetti della spiaggia degli innamorati morti; al mattino, al risveglio, all’uscire dalla tenda vengo assalito da una nuvola di zanzarine che entrano tra i miei capelli e da li beccano in quantità, risultato.. un centinaio di beccate solamente nel braccio destro, a moltiplicarsi per tutta la superficie del corpo. Ma a parte grattarsi non provocano danni particolari. Il lavoratore dei ricconi, ormai amico, viene in soccorso e accende un fuoco, e io da piccolo eurocentrista con la testa chiusa a chiave penso..ma guarda questo che invece d’aiutarmi si mette ad accendere il fuocherello. Stupido, il fumo del fuoco allontana gli insetti, un’altra piccola lezione imparata e messa da parte.
Liberato dall’invasione delle zanzare punzerecchie, mi metto comodo a vedere sorgere il sole, aspettando la barca che non arriverà mai. Mala onda come si dice qui, ma allo stesso tempo troviamo rapido appoggio nell’ormai fraterno amico che con la barchina dei ricchi c’accompagna al molo da dove partiamo con un altra canoa volante verso le isole del Rosario. Saluti all’amico e ringraziamenti in birre che da queste parti, con il caldo che fa, sono sempre molto apprezzati.
Il corporativismo latino fa si che il guidatore della canoa volante ci porti dalla sorella che per un modicissimo – mah – prezzo ci permette mettere la tenda in uno spazio. Dopo una lunga e divertente contrattazione raggiungiamo un compromesso di prezzo ragionevole. Bene, siamo nell’isola dove gli hotel costano 200 US$ a notte a testa e noi accampiamo per 10 US$ in totale. Positivo. Si perchè le isole del Rosario sono il rifugio di politici, narcotrafficanti, impresari, colombiani e non, che, per una ragione non meglio specificata, decidono spendere un patrimonio per stare in un’isola bella si, ma nemmeno così straordinariamente unica. Immagino che tutto rientri nell’appartenenza castale colombiana.
Se il detto “gli hanno fatti e accoppiati” è vero, allora non ci sorprende che io e Chiara risultiamo leggermente fuori contesto tra bikini che valgono un salario mensile del lavoratore medio. Fino a quando i locali ci avvicinano, certo per fini anche commerciali, ma soprattutto per chiaccierare con delle persone “normali”, che nella loro cosmovisione saremmo io e Chiara. Quindi passiamo queste giornate girando l’isola con giovani e meno giovani locali, ascoltando. E quello che emerge rispecchia perfettamente il neocolonialismo economico; i locali, che vivono li da centinaia d’anni sono stati poco a poco ghettizzati in un pezzetto d’isola per permettere al ricco di turno di comprare terra e costruirci lussuosi hotel. Vi ricorda vagamente Santo Domingo, Cuba, Zanzibar, Capo Verde et similaris? Si, stessa cosa. Cosa ancor più scioccante, ai locali NON è permesso entrare in questi hotel, nemmeno girarci intorno, perchè importunerebbero i ricchi visitanti. Un orrore. Una vergogna. Per fortuna l’approccio di queste persone verso l’altro è inclusivo, e non esclusivo come sembra piacerci un sacco. Perciò con un signore orgoglioso come pochi della sua isola, camminiamo fino ad arrivare alla “riserva” dove vivono, e tra karaokes, immancabili birre, e conoscenze, si nota come ci tengano alla loro identità, afrodiscendente caraibica. E bene così.
Riusciamo pure a fare snorkling intorno ad un’isoletta, godendoci dei coralli spaziali e dei pesci tanto grandi come sconosciuti. Il mare e la sua gente, umana ed animale, colori e dimensioni diverse. L’isoletta in questione indovinate di chi era? Di Pablo Escobar, forse il più famoso narcotrafficante della storia, amato dai colombiani perchè parte delle sue ricchezze le destinava ad opere per il popolo, tenendoselo buono ovviamente, assicurando però allo stesso tempo quell’appoggio che lo stato non ha mai dato. E le similitudini con il sud italia sono abbastanza ovvie.
Della ventina d’isole che compongono l’arcipelago, Escobar era arrivato a comprarsene sette, tra gli altri famosi proprietari c’è il matto di Asprilla, Shakira e un tal siciliano attore di telenovele colombiane, Salvo non ricordo più che. Mah. Negli ultimi anni però molte isole sono state abbandonate dai proprietari perchè il governo ha imposto una tassa che la maggioranza non ha voluto pagare, sulla proprietá e la preservazione dell’ambiente (ricorda tanto la legge di Soru in Sardegna no?e ovviamente lo hanno cacciato). E così succede di poter entrare in una delle isolette espropriate a Escobar, venti metri per venti, e immaginarsi i festini pazzeschi alla cocaina che devono aver caratterizzato quei metri quadrati fino ad una decina d’anni fa.
Lasciate l’isole del Rosario passiamo altre due belle giornate in compagnia di Mao e ....., la ragazza puntini del racconto precedente, la querida Linda, sorella rastafari, e una coppia e tre quarti di cooperanti italiani, conoscenza nuova quanto piacevole, con lei già quasi quasi mamma. Campeggio, mare, spiaggia, fuoco, racconti e canzoni.
Grazie Colombia, grazie alla sua gente e agli infiltrati che tanto c’hanno aiutato.

giovedì 15 gennaio 2009

Colombia I

C’eravamo lasciati ad una soffertissima quanto meritatissima visa, raggiunta dopo vari mal di stomaco e mancie obbligatorie.
Perchè quel visto tanto agognato? Per potermene andare tranquillo in Colombia per le vacanze di Natale e tornare senza dover ricominciare daccapo i tramiti per la residenza annuale in Bolivia.
Quindi si parte tranquilli.
Attraverso un comodo scalo a Lima con una connessione diciotto ore più tardi, arriviamo a Bogotà e superiamo non senza problemi la poco simpatica incaricata di migrazioni che a parte le ventisette domande di rito inizia a squadrarmi come ormai so succede quando arrivo a migrazione, narcotrafficante, terrorista, chi più ne ha più ne metta. Comunque, dopo dieci minuti di retorica dell’apparenza mettiamo piede a Bogotà. Enorme, estesa, trafficata, grigia. Ottima premessa. Raggiugiamo l’amica Cecilia, argentina compagna del Master, che con il suo fanciullo ci ospitano una notte e ci fanno conoscere i vari strati di Bogotà. Gli altri compagni che ci daranno ospitalità saranno una coppia di francesi che c’ha lasciato la loro casa senza averci mai visto, che conosceremo solo di sfuggita, incrociandoli mentre loro arrivavano a Bogotà e noi stavamo partendo.
Ma tornando agli strati, non parliamo di altezza sul livello del mare, ma di strati sociali, evidenti come sorprendentemente, passivamente accettati.
Quindi passiamo dalla zona dei ricconi colombiani e stranieri, alla classe media, al barrio bohemienne, senza entrare in zone off limits a livello di sicurezza. Ricorrendo Bogotà, e ce ne vuole, si nota pulizia, ordine, disciplina e rispetto. Insomma il paradiso del destroide, una perfetta cittá dell’apparenza, che nasconde perfettamente i drammi che racchiude. Poi certo, ci sono i bus cittadini che mettono un pò di colore e fantasia, ma in genere l’ordine è sorprendente. La disciplina è una strategia del governo, soldati ogni cinque metri che certamente non fanno venire voglia di fare nulla che sia camminare rapidamente ed allontanarsi da loro. In realtà, rispetto al pro medio conosciuto, sono pure disponibili, non direi gentili, ma educati.
La zona che più m’è piaciuta è stata la candelaria, banale da parte mia. La zona bohemienne di case diroccate e colorate, di piccoli bar che sanno d’osteria veneziana, di concertini e prezzi ragionevoli. Si perchè Bogotà e la Colombia in generale sono assai care, quasi a livelli europei; peccato gli stipendi siano lontani anni luce dal continente di Rousseau, di Lock e, Dio ci salvi, dell’emeritissimo presidente del consiglio dei buffoni e dei suoi amici del Pd, già caduti in disgrazia. Sarà che una giustizia divina esiste? Sarà la volta che il popolo si svegli o, come cari amici mi ricordano, non sarà il caso, essendo ormai il popolo docile, assopito, passivo a qualsiasi cosa, desideroso di far emergere quell’individualismo che in nessuna parte del mondo ha portato a nulla, mai.
Quell’individualismo lontano anni luce dai processi di cambio in corso in Latino America, volti all’associativismo, alla riscoperta e affermazione del comunitarismo.
Da Bogotà un bus modernissimo ci porta sulla costa atlantica, in una ventina d’ore. Sono sconcertato dalla modernità dei bus colombiani. Bagni divisi per uomini e donne, cibo in abbondanza servito, il controllo della velocità, così che il conducente non possa superare il limite previsto!!
Arriviamo a Santa Marta, gettiamo le poche cose in un ostello di gringos a una cuadra da un postribolo e a una dal porto, certo dal mare. Decidiamo cosí di ripartire rapidamente per Taganga, un villaggietto di pescatori a pochi minuti da Santa Marta dove, possibilmente, un’amica portoghese che abbiamo ospitato a La Paz, ci aspetta, per passare il natale insieme. Da buona artigiana che da tremila giri per il paese, non riusciamo ad incontrarci, ma passiamo tre bellissime giornate di camminate, sole, bagni. E una notte di pazzi balli, circondati da stranieri tra i quali la percentuale di consumatori di cocaina era praticamente totale. Questo della cocaina è proprio una tristezza europea, nordamericana e australiana. Una tristezza totale. Come se la meravigliosa musica del caribe non fosse sufficiente a svegliare lo spiritello ballerino, a lasciar andare i corpi e a divertirsi. Una tristezza che ha implicazioni economiche e sociali rilevanti.
Da Taganga ci dirigiamo al Parco Tairona, una meraviglia dell’umanità. Quattro giorni conoscendo spiaggie sempre più bianche, un oceano forte come non mai, che in quelle spiaggie si è mangiato duecento persone, un cammino di qualche ora che porta ad un villaggio indigeno perso nella giungla, dove oggi non vivono più gli originari. Vedere la differenza di coscienza tra questi indigeni e i compagni boliviani m’ha fatto pensare come lo stesso continente americano presenti livelli totalmente diversi di avanzamento, nella lotta per la affermazione e rivendicazione del diritto sacro alla terra, alla cultura, alla lingua.
Passo Natale con Chiara, perfetto. Ancor più bello che, per quelle casualità che non smettono di rendere la vità bellissima, incontro Gaia, amica italiana compagna di lavoro con ACRA in Nicaragua, che stava passando le vacanze proprio li. Che gioia!! Grandi chiacchiere e spazio allo sport preferito a livello mesoamericano, il chisme, il pettegolezzo.
Salutiamo Gaia e iniziamo a ricorrere la costa atlantica arrivando a Cartagena, dove altri amici c’aspettano per aprirci le porte della loro casa. Cartagena in sè è una cittadella che da sul mare totalmente venduta al turismo; per fortuna i nostri amici l’hanno capito subito e affittano una casa ad un’ora dal mare, arrivando alle colline che circondano la costa. Giornate rilassanti, con Mao e .......; tra queste l’ultimo dell’anno, passato girando per la città, ballando e notando con sconcerto,una volta di più, la divisione castale. I ricchi affittano le piazze, le chiudono, pagano dei musici costosissimi, ed il resto fuori dalla piazza, nei marciapiedi, a ballare senza pensare troppo alla tristezza del sistema.
E poi le isole del Rosario..ma a queste dedichiamo altro capitolo...