giovedì 15 gennaio 2009

Colombia I

C’eravamo lasciati ad una soffertissima quanto meritatissima visa, raggiunta dopo vari mal di stomaco e mancie obbligatorie.
Perchè quel visto tanto agognato? Per potermene andare tranquillo in Colombia per le vacanze di Natale e tornare senza dover ricominciare daccapo i tramiti per la residenza annuale in Bolivia.
Quindi si parte tranquilli.
Attraverso un comodo scalo a Lima con una connessione diciotto ore più tardi, arriviamo a Bogotà e superiamo non senza problemi la poco simpatica incaricata di migrazioni che a parte le ventisette domande di rito inizia a squadrarmi come ormai so succede quando arrivo a migrazione, narcotrafficante, terrorista, chi più ne ha più ne metta. Comunque, dopo dieci minuti di retorica dell’apparenza mettiamo piede a Bogotà. Enorme, estesa, trafficata, grigia. Ottima premessa. Raggiugiamo l’amica Cecilia, argentina compagna del Master, che con il suo fanciullo ci ospitano una notte e ci fanno conoscere i vari strati di Bogotà. Gli altri compagni che ci daranno ospitalità saranno una coppia di francesi che c’ha lasciato la loro casa senza averci mai visto, che conosceremo solo di sfuggita, incrociandoli mentre loro arrivavano a Bogotà e noi stavamo partendo.
Ma tornando agli strati, non parliamo di altezza sul livello del mare, ma di strati sociali, evidenti come sorprendentemente, passivamente accettati.
Quindi passiamo dalla zona dei ricconi colombiani e stranieri, alla classe media, al barrio bohemienne, senza entrare in zone off limits a livello di sicurezza. Ricorrendo Bogotà, e ce ne vuole, si nota pulizia, ordine, disciplina e rispetto. Insomma il paradiso del destroide, una perfetta cittá dell’apparenza, che nasconde perfettamente i drammi che racchiude. Poi certo, ci sono i bus cittadini che mettono un pò di colore e fantasia, ma in genere l’ordine è sorprendente. La disciplina è una strategia del governo, soldati ogni cinque metri che certamente non fanno venire voglia di fare nulla che sia camminare rapidamente ed allontanarsi da loro. In realtà, rispetto al pro medio conosciuto, sono pure disponibili, non direi gentili, ma educati.
La zona che più m’è piaciuta è stata la candelaria, banale da parte mia. La zona bohemienne di case diroccate e colorate, di piccoli bar che sanno d’osteria veneziana, di concertini e prezzi ragionevoli. Si perchè Bogotà e la Colombia in generale sono assai care, quasi a livelli europei; peccato gli stipendi siano lontani anni luce dal continente di Rousseau, di Lock e, Dio ci salvi, dell’emeritissimo presidente del consiglio dei buffoni e dei suoi amici del Pd, già caduti in disgrazia. Sarà che una giustizia divina esiste? Sarà la volta che il popolo si svegli o, come cari amici mi ricordano, non sarà il caso, essendo ormai il popolo docile, assopito, passivo a qualsiasi cosa, desideroso di far emergere quell’individualismo che in nessuna parte del mondo ha portato a nulla, mai.
Quell’individualismo lontano anni luce dai processi di cambio in corso in Latino America, volti all’associativismo, alla riscoperta e affermazione del comunitarismo.
Da Bogotà un bus modernissimo ci porta sulla costa atlantica, in una ventina d’ore. Sono sconcertato dalla modernità dei bus colombiani. Bagni divisi per uomini e donne, cibo in abbondanza servito, il controllo della velocità, così che il conducente non possa superare il limite previsto!!
Arriviamo a Santa Marta, gettiamo le poche cose in un ostello di gringos a una cuadra da un postribolo e a una dal porto, certo dal mare. Decidiamo cosí di ripartire rapidamente per Taganga, un villaggietto di pescatori a pochi minuti da Santa Marta dove, possibilmente, un’amica portoghese che abbiamo ospitato a La Paz, ci aspetta, per passare il natale insieme. Da buona artigiana che da tremila giri per il paese, non riusciamo ad incontrarci, ma passiamo tre bellissime giornate di camminate, sole, bagni. E una notte di pazzi balli, circondati da stranieri tra i quali la percentuale di consumatori di cocaina era praticamente totale. Questo della cocaina è proprio una tristezza europea, nordamericana e australiana. Una tristezza totale. Come se la meravigliosa musica del caribe non fosse sufficiente a svegliare lo spiritello ballerino, a lasciar andare i corpi e a divertirsi. Una tristezza che ha implicazioni economiche e sociali rilevanti.
Da Taganga ci dirigiamo al Parco Tairona, una meraviglia dell’umanità. Quattro giorni conoscendo spiaggie sempre più bianche, un oceano forte come non mai, che in quelle spiaggie si è mangiato duecento persone, un cammino di qualche ora che porta ad un villaggio indigeno perso nella giungla, dove oggi non vivono più gli originari. Vedere la differenza di coscienza tra questi indigeni e i compagni boliviani m’ha fatto pensare come lo stesso continente americano presenti livelli totalmente diversi di avanzamento, nella lotta per la affermazione e rivendicazione del diritto sacro alla terra, alla cultura, alla lingua.
Passo Natale con Chiara, perfetto. Ancor più bello che, per quelle casualità che non smettono di rendere la vità bellissima, incontro Gaia, amica italiana compagna di lavoro con ACRA in Nicaragua, che stava passando le vacanze proprio li. Che gioia!! Grandi chiacchiere e spazio allo sport preferito a livello mesoamericano, il chisme, il pettegolezzo.
Salutiamo Gaia e iniziamo a ricorrere la costa atlantica arrivando a Cartagena, dove altri amici c’aspettano per aprirci le porte della loro casa. Cartagena in sè è una cittadella che da sul mare totalmente venduta al turismo; per fortuna i nostri amici l’hanno capito subito e affittano una casa ad un’ora dal mare, arrivando alle colline che circondano la costa. Giornate rilassanti, con Mao e .......; tra queste l’ultimo dell’anno, passato girando per la città, ballando e notando con sconcerto,una volta di più, la divisione castale. I ricchi affittano le piazze, le chiudono, pagano dei musici costosissimi, ed il resto fuori dalla piazza, nei marciapiedi, a ballare senza pensare troppo alla tristezza del sistema.
E poi le isole del Rosario..ma a queste dedichiamo altro capitolo...

Nessun commento: