domenica 16 luglio 2006

Estelí ed i Sandinisti

Fine settimana trascorso al Nord. Lontano da Managua, dal traffico, dal computer e da internet.Venerdì all’alba parto con gli impiegati di ACRA, destinazione Estelì, cittadina al Nord, non lontano dal confine con l’Honduras. Raggiungo due ragazze, Gaia e Sara, li da tempo per seguire un progetto di viviendas nei distretti più colpiti dall`uragano Mitch nel 1998. E` un progetto che è appena terminato con notevole successo visto il numero di case ricostruite (500), tempistiche e budget rispettati. La strada per Estelì è piuttosto buona, la cosa più interessante è il paesaggio che la natura ci offre. E’ un’ininterrotta distesa pianeggiante (la più grande pianura del centroamerica dove si coltivano tabacco e arachidi) circondata da montagne verdissime, per la stagione delle piogge in corso, uomini a cavallo con cappelli da cowboys e muli, machete al seguito utile ad aprire il cammino per il bestiame e perché no, a difendersi. Paesaggi che mi ricordano un periodo particolare dell’India, del mio viaggio difficile ma meraviglioso. Unica differenza, tra le montagne ci sono anche dei vulcani vivi. Un certo numero di vulcani vivi, bellissimi.Estelì si sviluppa come una persona può immaginarsi una cittadina centroamericana: divisa in quadre, “pulperie” ad ogni angolo (stanze di casa ricavate a bottega dove si vende un pò di tutto), macchine elaborate (cadamuro design con in più lucine intorno alla targa e fari che cambiano colore ... ), caballeros, ubriachi di ogni sorta e ad ogni ora, bimbi che ti chiedono un cordoba (moneta locale che vale 1/20 di e), ragazzine di dodici anni già adulte, e di quindici già mamme. Uomini che dividono i fagioli buoni da quelli meno, seduti sul ciglio della strada. Lenti, ma attenti. Cappello, jeans, stivale, ron. Negozi di selle.Dopo una mattinata passata a studiare il progetto sulla basura (immondizia) al quale lavorerò, siamo andati a pranzo in un rancho tipicissimo perso tra le montagne che costeggiano la città. Ci andiamo con una “camioneta”, quelle specie di jeep aperte dietro, molto americane, ma tutte giapponesi. Mi sono così potuto godere il paesaggio sentendolo realmente, vento in faccia e tra i capelli, odori e sapori. Nuova, inevitabile, connessione ai viaggi sui tetti dei bus indiani. Pranzo nel rancho dove cavalli e mucche pascolano, anche dentro il locale, e dove si parla di rivoluzione, di molotov e di non violenza. Del mio pensare legato alla rivoluzione non violenta, del pensare di Juriel, avvocato sandinista, legato alla rivoluzione, che identifica come violenta, perché solo in quel caso porta “esperanza”, perché ormai dice, anche i sandinisti sono solo politicanti. Si è figli di ciò che si è vissuto, di quello che ci è stato insegnato.Passo la serata con le ragazze e i ragazzi che hanno lavorato alla costruzione delle case. Persone dagli occhi dolci, iniettati d’alcool per la maggior parte del tempo, di massimo ventanni, con moglie, figlia, novia, querida e amiga con beneficios. Questo è l`ordine con cui si descrivono le amanti. D`altronde il machismo della società latinoamericana non si scopre certo oggi. D’altronde fa pensare. I ragazzi, piuttosto alticci, sono stati cordiali e amichevoli così che la serata è passata tra danze caraibiche, e canzoni rivoluzionarie. Il posto dove siamo stati è l’ambientazione di un film: luci di un neon ormai opaco, mura colorate ma ingiallite dal tempo e dal fritto, uomini, ovviamente nessuna donna, o meglio, una bellissima cameriera bambina. Tutti gli uomini stanno bolos (ubriachi in nica), sono seduti al tavolo a bere, ridono, scherzano, ballano e si menano. Ognuno con il machetino. Ad un certo punto m’ovatto dal tutto per vivermi sta scena: dall’entrata del posto vedo un taxi tirato da tre persone. Avanza lentissimo fino a posizionarsi visivamente in modo utile ad una comoda osservazione. La cosa magica è che tutti tentavano di spingere ma erano talmente sconnessi dalla realtà che non ce la facevano. Spingevano in direzioni opposte, cadevano, ridevano. Il tutto con le macchine che sfrecciavano a mezzo metro da loro. Per tutto il tempo in cui siamo stati li il taxi non sé mosso di un centimetro. Sarei stato curioso di tornare il mattino successivo, probabilmente li avrei trovati addormentati nello stesso punto. Il bere è, con la televisione, la loro valvola di sfogo. Un pò come da noi, ma in termini diversi. L’alcool è la loro droga, altro non c`è in giro, al massimo la colla per i bambini.Il giorno successivo partecipo con le ragazze all’ultimazione di un miniprogetto: si tratta di fornire alcune famiglie di 9 galline ed un gallo. L’idea è che vendano le uova e con il ricavato comprino il latte per la famiglia nonché il mangime per le galline stesse. Abbiamo fatto questo viaggio in camionetta sotto un sole cocente per recuperarle: un sole caldo ma che scotta. Di ritorno infatti rimbambimento generale. Pranzo a base di riso, fagioli e formaggio (qui si mangiano a colazione, pranzo e cena tutti i santi giorni). Sulla strada di ritorno , nel mezzo del nulla, un bimbo dormiva orizzontale sul ciglio della strada, solo. Spero stesse dormendo. Abbiamo portato le galline ai neoproprietari. Qui è successo qualcosa che non m’aspettavo, o almeno non in queste dimensioni. Da parte dei beneficiari la reazione è stata d’indifferenza: mi sono fatto spiegare dalle ragazze e, ciò che emerge, è che in Nicaragua, dal 1990, in avanti (anno della caduta dei sandinisti) sono arrivati e continuano ad arrivare numerosissimi progetti. Ciò ha provocato una non reazione nel pensiero della gente, che risulta essere fondamentalmente passiva. Se riceve qualcosa bene, se no chiede semplicemente quando sarà il prossimo progetto. Tutto è dato per scontato. O tutto è diffidenza. Questo rappresenta un problema di fondo che dovrebbe mettere in discussione le basi dell’azione stessa.La consegna delle galline m’ha fatto conoscere un pò meglio i barri dove s`è intervenuto. Anche qui delle scene curiose: una casa di legno con nulla all’interno ma tre televisori, tutti accesi; uomini che bazzicano con macheti, donne che badano a quattro cinque figli, un vecchio seduto in un giardino spoglio ma addobbato di due poltrone zebratissime (quindi tonalità marroni e grigie e l’uomo seduto su questa esplosione di bianco). Bellissimo. Riusciamo anche ad impaltanarci nonostante quattro ruote motrici. Nei nostri tentativi siamo aiutati da alcuni locali, mentre un attento pubblico di cani randagi e donne preoccupate che il fango finisca nel loro giardino segue con attenzione le nostre rocambolesche evoluzioni. Stanchi dalla giornata ce ne torniamo a casa: c’accoglie Don Marciano, in italiano il signor Marziano. Uomo forse sulla sessantina con una pancia enorme da fagioli riso e birra, come per altro tutti gli uomini dai trent’anni in su. Uomo che nonostante l’età ha un certo numero d`amanti. Uomo che si sta alfabetizzando grazie ad un progetto promosso da sandinisti e finanziato da Cuba. I ragazzini di quindici anni vanno per le case dei vicini ad insegnar loro a leggere e scrivere. Quindi il professore ragazzino insegna a don marziano a scrivere. Molto bello. Parte del tempo finiscono a giocare a carte e a discutere di politica, ma è parte del tutto. Crescita reciproca. Decido d’uscire perchè è la vigilia dell’anniversario della liberazione d’esteli dalla dittatura samoziana. I sandinisti già celebrano dal giorno prima, la piazza è piena. Qui sì rappresenta ancora il centro d`aggregazione; sempre piena giorno e notte. Interagisco con un uomo che crede nel potere della coscienza, allietato da musica tradizionale e rivoluzionaria. Questa persona con cui ho chiacchierato, sposato e separato con due figli, si percepisce proprio quanto sia stato educato durante la rivoluzione. Vocabolario tipico.. imperialisti, colonialisti, assassini impuniti etc etc. Devo raccontarvi però che nei suoi occhi c’era una luce, quella che lui chiama coscienza, e che identifica nel partito, quella che io chiamerei energia data dalla forza della lucha. L’unica loro speranza, a suo parere. Certo è che da queste parti l’idea conta e molto. Ha chiamato suo figlio Gabriel Ernesto (per garcia marquez e guevara, “perchè voglio che lotti ma lo faccia sapendo le cose, ed il suo nome è la prima fonte di conoscenza che gli offro”).La canzone scritta per il candidato delle prossime presidenziali è a base reggaeton. Parole rivoluzionarie su base reggaeton. Segno dei tempi. La serata è interrotta solo dalla inevitabile rissa: un ragazzo, che non arrivava a quindici anni, cercava di prendere a cinturate chiunque gli fosse intorno. Solo un esempio. E`che proprio bevono fino a svenire, solo che, prima di ciò, sfogano violenza in modi e maniere differenti.Arriva il giorno della parata. Mi svegliano i botti, usati in quantità, che annunciano il giorno della memoria. Tutta Estelì ed i paesi vicini riempiono una piazza enorme, ma tutto il paese è addobbato. La dittatura che ha segnato il paese è stata una delle peggiori di tutto il LatinoAmerica, gente scomparsa, esecuzioni sommarie, giovani gettati dagli aerei perchè in quanto giovani sicuramente rivoluzionari, stupri e via di seguito. Normale, logico e sacrosanto che celebrino. La gente arriva a piedi, a cavallo o in macchina: predominano rosso e nero, colore dei sandinisti, le bandiere riempiono le strade, scaldano il cuore. Un orchestra suona per un numero indefinito di ore canzoni rivoluzionarie. All’arrivo del comandante Daniel, candidato sandinista alle presidenziali, che ha fatto la rivoluzione e che qui se amato è praticamente venerato, ma se è odiato è veramente odiato, la piazza si accende ancor più; parte la canzone officiale della rivoluzione ed è un boato inaudito di voci, donne bambini vecchi senza denti, tutti cantano, ballano, s’affannano. Iniziano numerose canzoni, “el pueblo unido jamas serà vencido” cantata in questo contesto ha una forza esplosiva.Adrenalina, personalmente pelle d’oca e sensazione di vivere la storia. Una partecipazione totale, fisica e mentale. Quello stadio è stato per un certo tempo un essere che viveva di vita propria, un solo respiro, alimentandosi dell’energia della gente.Circondato da cavalli, con uomini che gridano“w i contadini, vogliamo pane, medicine. Mai liberali, mai conservatori”.Stringono il pugno. La gente qui lotta. La lucha è viva.“Sandino vive la lucha sigue”.Un cavallo bianco bellissimo, convinzione di cavalcarlo verso il bene, chissà.Non so quante ore sono stato immerso in quello stadio piazza. Non so quante persone m’han chiesto come va la lotta contadina in Italia, i giovani universitari mi chiedevano se il governo d’adesso italiano porterà al comunismo. Spiegagli che in Italia tra destra e sinistra non cambia nulla. Che il più grande partito della sinistra vota per le missioni di guerra. Dura. Però tante parole, tanti sorrisi, tanti volti semplici e nobili. Si festeggia tutta notte, quelli che rimangono in piedi almeno. Lascio lo stadio con un fuoco dentro.La manifestazione mi ha scombussolato il ventre.La lucha va, la lucha sigue, certo non violenta per me. Ma mi ha dato tanta carica, questo si.Pullman all’alba per Managua, un geko mi fa compagnia nelle due ore di viaggio in piedi verso la capitale. Saluto Estelì, forse ci tornerò, forse no.Sicuramente Mercoledì, festa nazionale della liberazione, andrò in piazza.

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