giovedì 15 novembre 2007

Il campo

Le mansioni lavorative mi stanno portando a trascorrere molto tempo nelle comunitá, al campo come il castigliano ben definisce queste missioni. Una decina si trovano un centinaio di chilometri e sei ore di macchina a sud di La Paz, un paio altrettante ore al Nord. Una volta usciti dalle strade principali inizia il magico mondo dei saltinbanco. Il tragitto che conduce alle comunitá al sud, nonostante le macchine di Acra non siano niente male, permette un’unica azione-reazione: rimbalzare da un sedile all’altro, spinti dalle fantastiche irregolaritá del fondo stradale in terra e sassi. Cosí, dopo il tragitto, si é puri saltinbanco, uomini e donne dalle molle incorporate. A parte questa piacevole caratteristica, tra un rimbalzo e l’altro, si riesce ad apprezzare un panorama che lascia senza fiato. Nelle ore di viaggio si passa dai tremila ai quasi seimila metri, passando da un clima sostenibile ad uno dove si fatica realmente a respirare; da colline verdi a pura terra brulla e innevata, dall’incrociare animali noti come vacche, cani e pecore, all’incontro con i lama, veri padroni delle alture.

Cairoma, sede del municipio a cui si riferiscono le comunitá dove lavoro, non é esattamente una metropoli. Paragonandola ad una cittá occidentale non cé gran fonte di divertimento che non sia l’alcool, che i locali consumano ad ogni occasione utile, indipendentemente siano le nove del mattino o le dieci di sera. Cosí quando non sono alle comunitá e non posso lavorare al computer perché salta l’energia elettrica, il passatempo principale sono le passeggiate tra i campi di patate, in questo periodo in fiore, che offrono delle viste spettacolari, con l’Illimani, montagna che da sola meriterebbe un libro per tutte le storie strane e gli accadimenti inspiegabili che la caratterizzano. I paesaggi sembrano disegnati dai bambini, infinite montagne con il sole e le nuvole che spuntano in cima, di tanto in tanto delle case con il loro campicello e degli esseri che alla distanza potrebbero essere uomini, ma che fino a quando non ci si avvicina non é dato confermarlo, potendo rivelarsi essere animali o spaventapasseri.

E poi c’é il tempo per l’analisi degli esseri curiosi che popolano questo paesello: la signora dalle lunghe trecce bianche che possiede la gallina da una gamba sola, il gallo piú grande e pauroso che si sia mai visto, le panchine della piazzetta che pendono da un lato come le persone che ci si siedono, le capre dispettose che scappano dal gregge e costringono le cholite a rincorrerle imprecando chissá cosa in aymara, le pozzanghere di fango di cui non cé modo di vedere il fondo, gli ubriachi che gongolano fino a cadere addormentati, le ragazzine che appena ti vedono iniziano quella risatina che racchiude chissá quali significati, i maiali che scorrazzano in gruppi e fanno lo stesso effetto d’incontrare le maras salvadoreñe, e poi c’é Persi.

Persi é l’uomo senza dubbio piú gobbo ancora in vita in questo nostro mondo. In sostanza ha le gambe dritte e poi é completamente recrinato in avanti, riuscendo a malapena a vedere davanti a sé perché l’inclinazione del volto gli offre piú che altro lo scenario dei suoi piedi rugosi. Chi sia Persi e cosa faccia, come viva, é per me un mistero. Lo si incontra sempre appallottolato su un sasso o una pietra, un pó all’ombra e un pó al sole. Non riesce ad esprimersi bene, perció tutti i suoni che emette rimangono incomprensibili a me, ma soprattutto ai compatrioti. Credo sia uno gnomo, un essere di un mondo diverso che é stato catapultato dai boschi direttamente a Cairoma. Sono convinto che di notte monti sul suo nastro trasportatore e vada a festeggiare tra compagni piú simili a lui che capiscono che dice, cosa vuole. Persi.

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