mercoledì 28 novembre 2007

Yungas

C’é poi un altro campo, quello delle altre comunitá dove lavoro, al nord di La Paz. Nello stesso tempo in cui si raggiunge Cairoma, si arriva nello Yungas, vicino Caranavi. Se immaginate di addormentarvi appena partiti e svegliarvi giusto entrando a Caranavi, cosa impossibile visto lo stato del tragitto, rimarreste senza parole. Lo Yungas é una provincia che si presenta completamente diversa dalla capitale o dalle comunitá intorno a Cairoma. Fa gridare Nicaraguaaaaa!!! La vegetazione ed il clima sono assolutamente tropicali, assomigliando tantissimo alla realtá subtropicale centramericana. Gli alberi e la frutta, pur chiamandosi differentemente sono gli stessi. E ammetto che chiamare un avocado, che in nica é aguacate, palta ancora non mi riesce bene. Ma d’altronde ci si abitua. L’importante é poter mangiare questa squisitezza che qui quasi non riescono a vendere perché ce ne sono troppi. E poi ci sono i pappagalli e una varietá d’uccelli incredibile. Ovviamente ci sono anche le controindicazioni: zanzare enormi e micidiali, boa, vipere e chi piú ne ha piú ne metta. E in tutto ció, a fagiolo, c’era da identificare una fonte di acqua per un progetto di potabilizzazione: un ora di cammino in mezzo alla giungla sotto la pioggia che a stento riusciva a trapassare la fitta boscaglia, tra miliardi di suoni, per lo piú sconosciuti, che un pó facevano sentire in un mondo fatato e un pó facevano gelare la schiena non potendo identificare al suono un animale piú o meno mortale. E a Caranavi, dove alloggiamo in missione, c’é la piscina. Ora non é che di colpo mi son fatto piccolo borghese jacuziano. Il fatto é che in Bolivia non c’é il mare e andare in piscina a La Paz per poi uscire e doversi mettersi sei strati di maglioni di lana mi fa un pó tristezza. La possibilitá di fare il bagno in un sacrosanto costume muorendo di caldo ti da una carica energetica e di buona vibra totale, oltre a riaprire miliardi di fantastici ricordi legati a Nicaragua: la laguna d’Apoyo, Pochomil, León, Corn Island.

Il tutto, comunque, ad almeno duemila metri d’altezza.

Differentemente da Nicaragua la cultura indigena peró, assai riservata, non porta all’inevitabile confronto con la gente. La parola chele, con cui si descrive il bianco in centramerica, perenne colonna sonora del passeggiare per Managua, é assolutamente scomparsa dal vocabolario quotidiano. Qui si chiamano gringos indistintamente tutti i bianchi, e certo l’Esserlo crea delle barriere. Nonostante sia piacevole e formativo passare le serate con compagni boliviani aymara o quechua, é evidente che il non essere indigeno sia una discriminante per una totale accettazione come conpadre, come qui si definiscono le amicizie solide. Ho la sensazione che ci sia un pó di contro razzismo o forse é semplicemente un mantenere le distante. Certo é che la sensazione di sentirmi a casa che dopo non troppo tempo si era naturalmente sviluppata con i compagni nica, con tutti i suoi pro e contro, sono ancora molto lungi da intravederla qui. Si creano delle complicitá, ma mi paiono monche. Probabilmente saranno solo pippe mentali; sicuramente é ancora troppo presto per capire queste dinamiche.

Il fatto, peró, d’avere questa spettacolare varietá climatica m’affascina molto. In poche ore si puó passare da un clima rigidissimo ed un ambiente brullo, al tropico. E in tutto ció entra una diversitá di popolazioni indigene che non ha pari. Con la Costituzione in approvazione, Bolivia sará dichiarata uno Stato plurinazionale, indigeno e comunitario; sintesi delle incredibili differenze che questo paese al centro di Sud America racchiude.

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