martedì 18 dicembre 2007

Riflessioni esogene

Dedicare del tempo a pensare a come trasmettere che cosa rappresentino due mesi in un paese ai piú e al medesimo poco conosciuto mi ha fatto pensare a delle istantanee che, nella loro specificitá ben descrivono l’apparire ed il sentire di questo topos variegato.

Iniziamo dalla cittá: l’arrivo a La Paz, implica il passaggio per El Alto, dove é situato l’aeroporto. El Alto é una cittá sorta intorno alla valle dove si distende la capitale, arrampicandosi sui monti che ne disegnano il profilo, risultando essere ormai quasi piú grande di La Paz stessa. La discesa tra le ripide vie che rapide portano al centro della cittá, costellato di grattacieli anni settanta e ottanta che fanno imprecare contro l’immaginario assessore all’urbanistica dell’epoca, si caratterizzano per le grandi differenze tipiche delle capitali e delle cittá cresciute in fretta. Si passa dalle case di adobe, un misto di fango e paglia da cui ricavano mattoni, a delle villette che tanto vogliono assaporare l’american dream nella loro sindacabile architettura.

Per le strade di Sopocachi, la zona della cittá dove é situato l’ufficio della ong, gli opposti non mancano. Di fronte alla sede del Programma Mondiale di Alimenti, il famigerato World Food Programme, giusto di fronte a macchine sproporzionatamente grandi, seduta su una sedia instabile, sta fissa una signora spettinata dal rossetto shocking che vende panini fatti in casa con pomodoro e avocado, vicino a lei un signore che, in un carretto dalle ruote sgonfie, vende piantine e fiori. Verso sera, nella stessa piazza, compare un signore ben piazzato che apre il suo baracchino, famoso per le salcipapas, un piatto a base di salsiccia e patate fritte condito con abbondanti salse che escono da improbabili contenitori di plastica colorata che tanto ricordano i porcari italiani, e che, ugualmente, dicono siano ottimi per saziare la fame chimica, fedele compagna di viaggio. Camminando solo un paio di minuti piú in giú del salcipaparo, si arriva a Plaza Avaroa, dedicata ad uno degli eroi nazionali boliviani, famoso per essere morto in battaglia contro i cileni, nella guerra in cui Bolivia perse l’accesso all’Oceano Pacifico. Tutto intorno a questa piazza pullulano i locali per occidentali, dove un caffé costa tre volte un panino della signora shocking o del salcipaparo. Sempre intorno a questa piazza amici fanno i giocolieri guadagnandosi il pane quotidiano con spettacoli di clave e palline, chiedendo un peso a uomini d’affari nascosti dietro i vetri oscurati dei loro suv.

Il mercato di Sopocachi é una esplosione verticale di bancarelle da cui a fatica, sommerse tra patate e verdure, si scorgono le cholite, cosí chiamano le donne che vestono tradizionalmente; appena piú in la ci sono i lustrascarpe, perennemente incapucciati per limitare gli effetti negativi del respirare le esalazioni della vernice che utilizzano per lavorare. Le strade sono stracolme di microbus e bus, tutti con una onorata carriera alle spalle in paesi come Corea o Giappone che, una volta considerati da buttare, vengono regalati dai rispettivi governi ai membri di cooperative di trasportatori di paesi in via di sviluppo, per farsi ben volere dalla gente e, piú subdolamente, come sempre con le donazioni, per fare lobbying sui governi locali per ottenere accordi economici vantaggiosi. La vita utile del mezzo qui raggiunge livelli inimmaginabili, essendo spesso il mezzo considerato come un regalo di Dio, da rispettare e curare certosinamente.

Muoversi nei microbus, nel formicaio di strade trafficato che é La Paz, da sempre il piacere di guardarsi attorno. In ogni marciapiede c´é un albero di mimose, ogni isolato una borsa abbandonata per terra dice plomero-electricista, persone che lavorano alla giornata lasciando la borsa degli attrezzi li e intanto girovagando nei dintorni nell’attesa che qualcuno li chiami. Spesso ci sono delle prove di ballo per strada. Tradizionalmente per celebrare qualsiasi festivitá, religiosa e non, qui ballano danze tipiche. Nei giorni precedenti, dai piú piccoli fino ai piú anziani, occupano le strade per esercitarsi; la cosa divertente é che tutti rispettano questo costume perció é tipico stare un bel pó fermi aspettando che i protagonisti terminino il loro ballo. Fra l’altro queste situazioni sono sempre buone per celebrare. E qui si celebra bevendo; tipica immagine é quella di una cholita che tra una giravolta e l’altra si trovi spaparanzata per terra per aver perso l’equilibrio, il tutto tra le risate dei compagni e di lei stessa.

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