lunedì 7 agosto 2006

Giornate indigene, serate afrocaraibiche, futuro reggae

Martedì, primo giorno di un Agosto che è inverno, emisferico e sensoriale. Managua festeggia il suo santo: Domingo. La città si sveglia presto con un fastidiosissimo sottofondo, lo scoppio di botti, immancabile colonna sonora di qualsiasi evento, religioso e non solo: una coppia di sposini, uscendo dalla chiesa, invece che dal riso, è accolta da rumorosissimi e molto poco scenografici fuochi d’artificio. Passeggio per le vie affollate da persone che aspettano il santo, portato a spalle da devoti che gli hanno chiesto qualcosa e ripagano il suo aiuto in questo modo. Molto simile a ciò che succede in Andalusia durante la “Semana Santa.” Molto meno borghese, molto più popolare. Ci sono dei neri figuri che s’aggirano per le vie. Sono ragazzi seminudi spalmati di grasso nero, o rosso. Rappresentano il diavolo tentatore (curiosa anologia con i colori del Fronte Sandinista) e circuiscono le persone nel tentativo di sporcarle, recitando il loro ruolo alla metà tra il serio ed il faceto. Il Santo passa, accolto da segni della croce ed applausi. In tutto ciò il nica medio è completamente ubriaco di ron. Il ron è un problema, la gente proprio non si rende conto di quanto ne beva, raggiungendo dei livelli di incoscienza che precedono quasi inevitabili scatti di violenza.Ovviamente una delle ragazze spagnole a cui Leo fa da guida viene derubata. Inizia così un, purtroppo interminabile, racconto del numero di occasioni e circostanze in cui tutti (non qualcuno, ma tutti) sono stati derubati o assaliti. C’è Iris, sorella d’Emilio, che viene derubata una volta all’anno da dodici anni. Quest’anno deve ancora succedere, attende l’evento con gioia. Emilio, menestrello cantastorie, condivide svariate situazioni in cui s’è trovato di fronte a ladri, per lo più ragazzini di dieci, quindici anni. Nella tristezza, due casi mi hanno fatto morir dal ridere: una volta camminava tranquillo sul marciapiede che costeggia una delle arterie principali della città con nello zaino computer, macchina digitale e portafoglio. Viene avvicinato da ragazzini muniti dell’immancabile metro di machete. Lui per schivarli si butta in mezzo alla strada, bloccando il traffico, sicuro di provocare una cagnara tale da far scappare gli assalitori. Se non che, il traffico si ferma, placido. Nessuno scende, nessuno suona, aspettano seduti comodi nelle loro macchine l’evolversi degli eventi. La violenza è spettacolo, anche grazie ad un nefasto programma televisivo che ogni mezzodì manda le immagini degli assalti che quotidianamente avvengono. Così che i ragazzini agiscono indisturbati. Risulta fastidioso, a parte l’indifferenza della gente, il fatto che, una volta andati dalla polizia per denunciare l’accaduto, accompagnato da testimone che conosceva l’assalitore, il poliziotto ha ben pensato di non procedere a nessuna denuncia. Causa: l’insufficienza di prove (!!!). L’altro racconto è ambientato di sera, in un barrio poco raccomandabile in cui finisce per caso trasportato da una discussione accesa con un amico che gli fa perdere di vista la direzione che stavano seguendo. Si sono trovati così nel pieno della notte in una delle zone di Managua in cui nessuno si avventura. Risultato, sono stati assaliti in pochi secondi e lasciati letteralmente in mutande. Immaginatevi questi due uomini che se ne girano in mutande cercando un taxi nel pieno della notte. Tutto ciò è abbastanza triste, ma spero di trasmettervi il lato divertente della faccenda.La giornata del Santo è trascorsa piacevolmente tra questi racconti e chiacchiere varie con Leo, Pelu, psicologa cilena, e Dominique, svizzera, insostenibile nella sua chiusura mentale (sapevate che la stragrande maggioranza degli italiani a casa fa il caffè filtrato? scordatevi la caffettiera, noi facciamo il caffè filtrato. Lo dice una ricerca che ha letto Dominique, ciò vale più di una bibbia o dell’umile parere di uno che in quel paese c’è cresciuto). Pranzo tradizionale, repollo (riso e fagioli fritti e strafitti, buonissimo). Emilio ci ha portato da Paolo, gringo trasferito in Nicaragua da una vita, che si è costruito una casetta semplice in cima ad una collinetta, da cui si vede tutta la città. Venendo con il camion dagli Stati Uniti si è caricato una roccia enorme che ha trovato per strada, così che, in cima alla collina, campeggia questo monolite. Sculture sparse per il giardino, tipicamente tropicale. Il personaggio, piuttosto simpatico, lascia sempre i cancelli di casa aperti, chiunque può entrare, porta il cibo, e si cucina e chiacchiera insieme. Bella vista, persone simpatiche, spagnole che festeggiano ugualmente le loro disavventure centroamericane.Sono uscito con Mariarosa la mezza nica, mezza spagnola. Ha lasciato Granada, dove viveva in Spagna, con una borsa di dottorato per il Nicaragua. Ha vissuto tra gli indigeni della costa atlantica, tra poco tornerà lì dove inizierà a lavorare con le comunità. Viaggia veloce per le vie di Managua con il suo maggiolone bianco, suona il clacson come un nica navigato, ma con una dolcezza particolare. Balla la danza del ventre da una vita, e si vede. Sorride, non troppo, c’è qualcosa che non riesco a comprendere in lei; poco male, mi auguro avrò modo di annaffiare questi semi d’amicizia appena piantati. Mi ha dedicato una serata per raccontare la sua esperienza con gli indigeni all’Est: ha compiuto una ricerca con un gruppo di studenti per una sorta di censimento dell’area. Il Nicaragua è spaccato tra Est ed Ovest, tra la parte indigena e afrocaraibica e la parte spagnola, dove Managua si trova. Le strade non arrivano all’Est; ad un certo punto si navigano i fiumi con delle lanche, barchette di legno che viaggiano ad una velocità esagerata. Questa difficoltà nei collegamenti ha mantenuto marcate le diverse identità, nonostante la globalizzazione imperante, risultato del fino lavoro della CIA negli anni ottanta e a seguire. Nella costa atlantica, al Sud, si parla inglese, si balla reggae. Andrò sulla costa atlantica, ma non subito, voglio potermi fermare abbastanza da capirci qualcosa, fatto non possibile ora. Bella la diversità, stimolante.A questo proposito ho conosciuto due gringo di New York, che girano video reggae nella costa e stanno provando a portare il reggae a Managua. La coincidenza voleva che solo qualche sera prima avessi parlato con il gestore dell’ArtCafè a questo proposito. Così ci siamo aggiornati per discutere meglio i termini.. il reggae sta arrivando a Managua.. già la prossima settimana, sfruttando la musica nel portatile mio e di alcuni amici ci sarà una serata dedicata alla musica di Jah. Sempre che non mi rubino il portatile da casa al locale. Fatto non escludibile in alcun modo.Per festeggiare un mese in Nicaragua, sono andato a León, due ore a nord di Managua vicino alla costa pacifica, con Lisy la belga, al mio primo concerto reggae nicaraguese. Abbiamo trovato una camera a due euro in un posticino stupendo che si chiama Casa Vieja, una magione tipicamente nica con la foto di mille avi appese, le sedie a dondolo, piante e musica che risuona tutto il giorno. Il concerto era organizzato per i venticinque anni dalla morte di Marley in un localino della città. Dopo un breve shock iniziale, legato all’assenza del minimo spazio per ballare, ho ben pensato di fregarmene. E’ iniziata la proiezione di un concerto di Marley, due ore di pura energia. Vedendola da fuori la situazione era strana: c’erano un pò di stranieri in vacanza impegnati a baccagliarsi vicendevolmente, moltissimi nica, giovani e meno, impegnati a riempirsi di alcool, io Lisy e l’organizzatore del concerto che saltavamo tra i tavoli ballando felicemente. Tre folletti guidati dalla musica felice, danze! Quando il concerto è iniziato qualcuno in più si è mosso, ma c’era questa immagine che m’è rimasta impressa. Ad un certo punto ho dato le spalle al palco per vedere che succedeva, e mi sono trovato di fronte qualcuno che ballava, subito dietro un muro infinito di braccia incrociate su corpi immobili. Una barriera dell’ovest verso la musica dell’est. Segregazione culturale. La notte è stata piena di danze, di un nica che ballava benissimo, di un brasiliano capoerista che ci ha provato un sacco con Lisy e non trovava ragione del fatto che lei volesse solo ballare. Scene già viste. Poi Alex, un rimastino dominicano, altrettanto ottimo ballerino, oggettivamente belloccio con dread che ha fatto le smorfie a Lisy per le sue treccine finte (con tutte le ragioni). Alex che dice d’essere un narcotrafficante, Alex che non può più entrare in quel locale perché è successo qualcosa, Alex che sorride.Lisy gioca con le palline e con il Diablo, speriamo di imparare, speriamo di sorridere.

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