mercoledì 16 agosto 2006

Ometepe

Di ritorno da León muovo verso Ometepe, questa volta in compagnia di Elena, la filosofa che lavora con me. Chiacchieriamo e piano piano ci conosciamo; si scoprono differenze d’approccio comprensibili e rispettabili. Passo una notte a Managua prima di ripartire; trovo ospitalità a casa sua, nell’immancabile materasso riservato agli ospiti. Nella loro magione inizia a respirarsi il sentire casa. Hanno dipinto le finestre, alcune stanze, hanno un patio bellissimo, colmo d’alte piante che consentono una piacevole immersione nella naturalezza seppur vicini alle rumorose vie della capitale. M’addormento leggendo Animal Tropical di Gutierrez, racconto del rapporto vita-amore-carne tra le vie di La Havana. I Caraibi sono lontani da Managua. Sorrido leggendo, mi preoccupa il mio totale distacco dalla sessualità. Ho molti pensieri, molti. Al mattino mi sveglia il gatto di casa, minuscolo, ma già ammaliatore con le sue fusa e le sue leccate, bello come le piccole cose regalino il sorriso.Veloci alla stazione, bus per St. Jorgé, direzione Ometepe, raggiunta nel tardo pomeriggio dopo aver viaggiato in taxi, bus, barca, taxi e ancora bus. Ometepe è un paradiso.E` un isola che emerge dal Lago Nicaragua, con due vulcani, il Madera ed il Concepción, che dominano il paesaggio tropicale. Improvvisamente mi rendo conto d’essere ai tropici. Palme altissime, banani, platani, papaia e manghi; alberi altissimi, vegetazione fitta, immancabili macheti. Metto piede nell’isola accolto dalla musichina magica, fatto che si rivelerà purtroppo piuttosto casuale. Elena quando sente la musica mi guarda e sorride, consapevole di trovarmi saltellante, tra sguardi perplessi, ma pienamente felice; le persone iniziano a conoscermi. Le ultime note della canzone accompagnano un cavallo bianco selvatico che galoppa seguito da tre cani. Per raggiungere il nostro obiettivo, playa de los volcanos, percorriamo l’isola in bus che, come spesso in centroamerica, è uno di quei scuola bus gialli tanto usati negli Stati Uniti negli anni cinquanta e sessanta. Chiamare strade ciò in cui il bus s’arrampica è coraggioso, niente comunque paragonabile all’epico viaggio verso Leh, Tibet indiano. Odori e sapori, volti e colori. Sudore, corpi stretti, vestiti appiccicosi. Al passare del bus la gente interrompe che sta facendo, s’avvicina alla staccionata di casa, chi guarda solamente, chi saluta. Lo scorrere di una macchina è qualcosa di speciale, per cui vale la pena prendersi qualche minuto di pausa. L’autista ferma diverse volte per farsi la spesa, ovviamente tutto ciò è normale. Elena mi racconta che il padre di un suo amico, autista di bus a Bari, un giorno, mentre era in servizio, è passato con il mezzo per casa, è salito, si è fatto un panino ed è ripartito. Ha rischiato il linciaggio. Immaginatevi a Milano. Qui tutto bene, la gente chiacchiera tranquilla, chi approfitta per urinare, per fumare. Il concetto dell’attesa è sostanziale al paese. Scendiamo prima di Madera, mentre tutti i turisti proseguono; seguiamo il suggerimento di Lisy, che ci immerge rapidamente in un paesaggio da favola. Alcuni ragazzi nica, suoi amici, gestiscono un posticino con un dormitorio e alcune amache, fronte lago (a dieci metri dal lago). Intorno solo vegetazione e casette di legno dei locali. Nessuna Babilonia, solo naturalezza. Mi spoglio e, finalmente, m’immergo nelle acque tiepide del lago. Ci metto un pò a connettermi all’intorno, poi credo mi compaia un’espressione più idiota del solito, tanto che Elena, preoccupata, mi domanda se va tutto bene. Sono emerso dall’acqua e le ho fatto cenno di guardarsi intorno. Da un lato il lago che si estende a perdita d’occhio, di fronte la spiaggia e la mia amaca, a destra e sinistra i vulcani. Immergo e riemergo, è tutto vero! Sulla spiaggia, non lontano da me, due cavalli bianchi sgroppano felici, simbiotici. Sulla spiaggia, vicino a me, un enorme maiale passeggia placido. E`il maiale dei vicini, ottimo investimento per una famiglia, che lo venderà, dato che la carne di porco praticamente non si mangia qui, ricavando da viverci per un mese. In più, da vivo, il maiale è un compagno di giochi gradito dalla figlioletta.Il tramonto è memorabile, mentre il sole sta per scomparire una barca di pescatori esce a gettare le reti; sfondo arancione riflesso sul lago. Tra me ed il sole che ci saluta, i pescatori. Sentire che ci sono tutte le condizioni perché sia perfetto. Sentire che è bellissimo, ma non è perfetto. Passerà, passerà?Il senso di comunità è forte tra gli isolani. Nel posto dove stiamo, tra un’amaca, un bagno ed una chiacchiera, ogni sera danno lezione ai ragazzini che fanno più fatica ad apprendere ed agli adulti, così che con un diploma abbiano maggiore possibilità di trovare lavoro. L’educazione alternativa, retaggio della rivoluzione sandinista. Ad organizzare tutto ciò è Carlo, un nica di qui divorziato, alto un metro e mezzo e con una pancia delle stesse dimensioni. E’ il classico capo comunità, che gestisce molto, troppo, ma che nella contingenza sembra farlo bene. C’è poi Wendi, svizzera di trent’anni che, passata di qui sei mesi fa, all’inizio del suo viaggio in america latina ha finito per innamorarsi di Pancho, 19, e non è più ripartita. Lavora e aiuta i ragazzi a gestire il tutto; credo, sbagliando, sia stata accettata dai vicini, dato che, verso sera, giunge una donna con un pezzo di torta per lei e glielo offre sottolineando come venga dalla capitale! Gli occhi di Wendi si illuminano adoranti.La notte è notte di luna piena. Quanta energia, quanta fortezza, quanto. Sono attraversato da flussi divergenti, felicità per ciò che sto vivendo, che, in quanto tale, è imprescindibilmente legata ad altro, all’altro. Peccato non sia così per entrambi. Peccato di lastima e peccato di peccato.A tratti nascosta dalle nuvole, la luminosità della luna è tale che trascende l’ostacolo naturale per illuminare il lago. L’acqua, liscia in questo lato d’isola, accoglie la candela che accendo a Ochun e alle sue forme terrene. Candela, acqua dolce, meditazione, preghiera, pensieri, esasperata ed esasperante intensità. Perché tutto è così forte, perché trasudo sentire? Nel mezzo di ciò le nuvole si diradano naturalmente, ora si la spiaggia è illuminata a giorno. Ora si gli gnomi la popolano, spiritelli vagano felici a pelo d’acqua, chiacchiere immaginate, scambi desiderati. Traccio tre linee orizzontali, la candela come lingam brucia nel mezzo delle tre; perché si è Ochun, ma è anche Shiva. Perché i due sono legati da tempo, perché lo siano nel tempo. Perché sento che è così. Brucia candela, brucia. Sono ovattato all’intorno, compresso nel mio modo mondo.“La vida es el hecho cosmico del altruismo y existe solo como perpetua emigracion del yo hacia el otro” dicono Ortega e Gasset. La propria vita vale quello che vale, ma è il donarsi che la rende magica.Mi distendo a mirare le stelle, poche volte ne ho viste così tante, così luminose, lontano dall’inquinamento ambientale, lontano da babilonia. L’intorno è uccelli, un rospo, un cane che si distende placido accanto a me. Un cane in riva ad un lago. Riposiamo insieme.M’addormento sull’amaca cullato dalle note dolci delle onde che incontrano la spiaggia.Passeggiando l’isola si scopre ancor più quanto fitta la vegetazione sia: fiori, mille tonalità di verde, tratti indigeni, chiese, bimbi felici come bimbi.Biciclettando tra stimolanti sali scendi, raggiungo un luogo dove sono custodite rocce incise da iscrizioni e geroglifici risalenti alle culture indigene che vivevano questo luogo prima della conquista spagnola. Ho continuato scalando le colline dissestate di questa magica Ometepe, via veloce in discese dove il manubrio sembra volare lontano, tenerlo stretto, per evitare rovinose cadute. Raggiungo una spiaggia bianca che da sull’altro lato del lago, qui la marea è più forte, le onde piacevoli. Ci sono pellicani, aquile, cavalli, vacche, ovviamente cani.Mentre le giornate scorrono veloci, l’ultima sera accade qualcosa di inaspettato. Chiacchiero, meglio discuto, con due immancabili israeliane: è impressionante il lavaggio del cervello che tre anni di militare comporta in queste persone; vedo Wendi e Pancho, lei estremamente sorridente, lui con la solita espressione impenetrabile da uomo di mare. Con la semplicità delle cose grandi annunciano di essersi sposati. Tutti rimangono di sasso, nell’incertezza umorale sono il primo a congratularmi, rotti gli indugi tutti si avvicinano e sono baci abbracci e pacche sulle spalle. Le ragioni di questo matrimonio sono tante, certo si vogliono bene, certo ricevere la cittadinanza svizzera non è la cosa più semplice per un centroamericano senza educazione né lavoro. Ecco dunque che la colonialista svizzera ha pensato di risolvere la questione così. Dico colonialista perché man mano che la serata avanza ed i nica bevono ron emerge tutto il loro disappunto per quello che è successo. I due hanno comprato una torta, invitato parenti e vicini, ma a parte qualche bimbo nessuno è venuto a festeggiare. Pancho lascerà Ometepe destinazione cioccolato svizzero in Ottobre. Un’opportunità direte voi, immagino di si. Il suo volto sembra estraneo ai festeggiamenti, posso immaginare il miliardo di pensieri che gli scorrono in testa, l’attaccamento alla sua terra, la natura tropicale, le cose semplici, le amache, svegliarsi con il lago di fronte. Non riesco nemmeno a capire se sia innamorato o abbia solo pensato di cogliere questa opportunità e, come dice lui stesso, a ver que onda. Fatto sta che mentre Wendi se lo sbaciucchia e abbraccia tutto il tempo, lui non celebra affatto. Se ne va a dormire per primo. Lei è talmente innamorata che non coglie il grottesco. I miei sentimenti sono contrastanti verso ciò che sta accadendo, mi sento in equilibrio precario. Vado al lago, accendo una candela ai neosposi, non sorprendentemente, si spegne subito. Prego ugualmente per queste vite, per questo lago e per quest’isola.Ometepe, Ometepe..energie contrastanti.. Felicitaciones muchachos locos

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